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Negli ultimi mesi si è acuito lo scontro tra l’Associazione nazionale magistrati e il ministro della Giustizia. I campi di battaglia sono stati diversi, dalla separazione delle carriere alle limitazioni alla pubblicazione degli atti di indagine e delle ordinanze cautelari, dall’abolizione dell’abuso d’ufficio all’aumento dei limiti alle intercettazioni di comunicazioni, dai decreti sui trasferimenti dei migranti in Albania all’ultimo: la proposta di istituire una Giornata per le vittime degli errori giudiziari.
In tutte queste battaglie, l’arma sfoderata da Anm per bocca del suo presidente, Giuseppe Santalucia, è sempre la stessa: la centralità della magistratura, talvolta sotto la forma di destinataria dell’incrollabile fiducia dei cittadini, altre volte quale unica portatrice del crisma dell’indipendenza, altre volte ancora quale baluardo della tenuta democratica del Paese, sempre e comunque quale unica interprete della cultura della giurisdizione.
Esattamente come per Tolomeo, nel secondo secolo dopo Cristo, la Terra era il centro dell’universo.
E di volta in volta questa visione tolemaica della magistratura viene declinata dal nostro secondo il canone della lotta per le libertà (la c.d. legge bavaglio limiterebbe il diritto alla conoscenza dei cittadini e gli attacchi alla magistratura che annulla le ordinanze di trattenimento confliggerebbe con la separazione dei poteri) o quello del vittimismo (la separazione delle carriere e il diritto di voto dei componenti forensi nei Consigli Giudiziari sarebbero un attacco alla magistratura, i limiti alle intercettazioni costituirebbero un’irragionevole compressione delle azioni di contrasto alla criminalità, l’abolizione dell’abuso d’ufficio e l’istituzione di una Giornata delle vittime degli errori giudiziari minerebbe la fiducia dei cittadini nella magistratura).
Ciò che la Anm non comprende (o finge di non comprendere) è che la fiducia dei cittadini nella magistratura sarebbe rafforzata dalla trasparenza, dall’ammissione degli errori commessi, dalla avversione nei confronti delle manie di protagonismo di certi magistrati che si rappresentano - soprattutto nel corso di soliloqui senza contraddittori - come paladini dell’antimafia o dell’anti-qualcos’altro e che, al contrario, ne esce sempre più indebolita davanti a tutti quegli atteggiamenti che hanno il sapore del corporativismo, della difesa di privilegi che la gente considera odiosi e discriminatori, dell’esercizio arbitrario di un potere che dovrebbe essere amministrato nell’interesse della collettività.
Ciò che mina la fiducia dei cittadini nella magistratura è il sistematico ricorso alla carcerazione per soggetti che poi vengono assolti con formula piena, le decine di milioni di Euro pagate dallo Stato - cioè da tutti noi - per le riparazioni per ingiusta detenzione, l’ostinato rifiuto di accettare che, come tutte le categorie che trattano beni giuridici di rilevanza costituzionale, anche loro possano rispondere civilmente per dolo o colpa grave, perfino l’avversione esplicita a una separazione delle carriere che era già insita nel processo introdotto nel 1989 e la cui mancata attuazione rende di fatto inattuato l’art. 111 della Costituzione.
Ciò che fa percepire ai cittadini la giustizia come una cosa lontana e ostile sono i formalismi utilizzati disinteressandosi della giustizia in concreto, le lungaggini che tengono in ostaggio cittadini spesso innocenti per molti anni, la creazione per via giurisprudenziale di norme inesistenti sia sostanziali, come il concorso esterno in associazione mafiosa, che processuali, come la prevalenza della prescrizione del reato sull’assoluzione nel merito salvo che la causa di non punibilità non risulti evidente (ex art. 129 Cpp).
Ciò che genera più di un sospetto sull’indipendenza della magistratura è il reiterato spregio delle regole, come è la sistematica violazione del segreto istruttorio a beneficio di quella stampa che si dimostra asservita e collusa e parimenti disinteressata delle conseguenze che notizie talvolta del tutto inutili sul piano processuale avranno immancabilmente sulle vite dei cittadini esposti alla pubblica gogna, l’ostinato silenzio sui comportamenti anomali, se non perfino devianti, di alcuni suoi componenti emersi da diverse inchieste e la pregiudiziale avversione nei confronti di tutte le innovazioni, in primis quelle tecnologiche, che in qualche modo possano favorire la trasparenza e il controllo sull’operato dei magistrati.
L’arroccamento su posizioni intransigenti, del tutto omologhe a quelle di quella politica che vorrebbe una magistratura mera esecutrice delle politica giudiziaria e criminale del governo di turno, ne indebolisce il ruolo di garante dei diritti in quanto compartecipe della giurisdizione insieme all’avvocatura, e appalesa la rivendicazione di un ruolo politico che si tenta, senza riuscirci, di ammantare della veste di indipendenza.
L’errore di Tolomeo era giustificato dalla limitatissima disponibilità di strumenti e conoscenze di cui perfino uno scienziato della sua caratura soffriva nel secondo secolo dopo Cristo. L’Anm, invece, non può rivendicare alcuna giustificazione valida per opporsi all’affermazione di un’impostazione copernicana della giustizia.