Grazie, ringrazio tutti i presenti, il dottor Giovagnoni che mi ha invitato e naturalmente saluto tutte le autorità presenti. Vorrei partire dalla mia breve esposizione con la lettura di un testo, che ieri ho ricercato ostinatamente direi nella nostra bellissima biblioteca, piena di testi importanti.

«L'ordinamento del pubblico ministero non si discosta sostanzialmente da quello precedente, per cui la separazione delle funzioni richiedenti e giudicanti non importa anche separazione di ruoli. Questo problema è più volte formato oggetto di discussione. Sull'argomento qui è sufficiente accennare alle ragioni fondamentali che hanno sconsigliato il ritorno al regime della separazione dei ruoli. Sono ragioni d'ordine politico, in quanto superata la separazione fondamentalmente errata tra i poteri dello Stato e subentrata la concezione di una differenziazione di funzioni, non sarebbe più concepibile nello Stato moderno una netta separazione tra magistratura richiedente, partecipe della funzione esecutiva e magistratura giudicante, da quella nettamente distinta. Ciò determinerebbe la formazione di veri e propri compartimenti stagni nell'organismo della magistratura, in contrasto con la sostanziale unicità della funzione. Il fatto che anche il pubblico ministero concorre a costituire l'ordine giudiziario non autorizza a identificarlo in tutto e in parte col giudice, perché quella sua appartenenza altro non significa se non che le funzioni del Pubblico Ministero sono sempre e indissolubilmente connesse con quelle della giurisdizione».

Potrebbero essere argomenti sovrapponibili a quelli coltivati in questi giorni da chi si oppone strenuamente a questa riforma. E vi devo dare una brutta notizia, Signori. Sono le parole, di Dino Grandi, Ministro Guardasigilli, nella relazione presentata alla Maestà Re Imperatore per l’approvazione del testo dell’Ordinamento giudiziario il 30 gennaio 1941. Perché le ho citate? Solo per riportare un dato storico; e cioè per dire, che l’assetto attuale della distinzione delle funzioni, all'interno di un unico statuto ordinamentale, nasce proprio sotto il regime fascista, dove questo assetto era servente al paradigma processuale inquisitorio, marcatamente autoritario di quel periodo. Per onestà va detto, che in quel regime il Pubblico Ministero era sottoposto alla funzione esecutiva. Dio ci scampi da una simile sventura! Di certo, però, il dibattito sulla separazione delle carriere ha seguito una specie di parabola a partire dal varo del nuovo codice di procedura penale dell' 89 che, segnando l'abbandono del principio inquisitorio, in forza di obblighi internazionali, si ispirava al criterio della parità dell'accusa e della difesa e, soprattutto, alla terzietà del giudice.

Quella parabola si concludeva nel 1999 con la previsione del principio del giusto processo: altro che lotta, come si dice oggi, al fascismo. Si tratta di superare piuttosto un principio che ha la sua genitura proprio nell’autoritarismo penale e nel modello processuale inquisitorio che vedeva il giudice e il pm, soavemente, uniti, nella ricerca della verità. Guardate l'articolo 111 della Costituzione, questo paradigma lo ribalta, supera questo dogma e fa assurgere a rango costituzionale il principio di parità delle parti. Il giudice è terzo, autonomo, baluardo fondamentale dei diritti individuali e, come tale, non condivide la giurisdizione. E qui arriviamo al punto.

L’argomento che si continua, nervosamente, ad agitare, sulla cultura della giurisdizione, secondo me, dietro un velo di paternalismo, ma anche di una certa mistificazione, mi dispiace dirlo, malcela la sua più autentica discendenza dal paradigma inquisitorio.

Se il pm si sente anche un po' giudice è perché rivendica un ruolo non paritario nel confronto tra le parti del processo. Ed è questo il modello che contraddice all’ideale di un processo “democratico” governato dalle regole del garantismo sostanziale e processuale.

La separazione non lede l’autonomia. L'articolo 104 della Costituzione anche nel testo riformato, riafferma l'unità dell'ordinamento giudiziario e distingue, coerentemente, le funzioni requirenti dalle funzioni giudicanti. La magistratura è autonoma e indipendente, i pubblici misteri appartengono alla magistratura; affermare qualcosa di diverso è andare contro il testo della disposizione costituzionale. Passiamo al tema dell'efficienza, come argomento contro la riforma, come se ogni riforma dovesse produrre efficienza. Può essere certamente uno degli obiettivi della giustizia, purché efficienza non significhi efficientismo punitivo. Non mi pare, peraltro, che nessuno pensi di introdurre come parametro di valutazione del pubblico mistero, il numero di condanne: io non l'ho visto da nessuna parte. Ma allora bisogna chiedersi, tornando sul “ritornello” dell’offesa alla cultura della giurisdizione per quale motivo, se si separano le carriere, si priva il pm di tale cultura. Già la parola “cultura” è quello che, un famoso linguista strutturalista, de Saussure, avrebbe definito un clic semantico: ci dice che chi la usa sa che è tecnicamente sbagliata, perché il solo potere- dovere che ha l’organo inquirente gli è assegnato dalla Costituzione e, certamente, non gli potrebbe essere sottratto: quello di esercitare l’azione penale ai sensi dell’art. 112 Cost. Quell’espressione serve, però, ad autoattribuirsi un’imparzialità che rimanda, a sua volta, a un paradigma non accusatorio ma inquisitorio in virtù del quale chi accusa ha già un po' deciso. Si dovrebbe parlare di cultura della legalità, e non di cultura della giurisdizione che è garantita da un contraddittorio paritario, e quindi, in questi termini dovrebbe essere condivisa semmai anche dalla difesa! Vorrei dire ancora due parole sul rischio di decadimento della vocazione garantista del Pubblico Ministero per effetto della riforma. È come se tra le righe si dicesse: guardate che poi se si separano le carriere diventiamo meno garantisti, e non raccogliamo più gli elementi a favore dell'indagato. Ora mi chiedo, davanti agli studenti che meritano verità, in che punto della riforma si modifica la regola- principio nell'articolo 358 del codice di rito? Per quale ragione il Pubblico Ministero non dovrebbe più ricercare gli elementi di prova a favore dell’indagato? Perché un Pubblico Ministero separato dovrebbe diventare meno garantista? Non è dato saperlo. La separazione non risolve con un colpo di bacchetta i problemi: non incide sull'assetto processuale, non modifica i poteri, per fortuna, non intacca l'indipendenza del giudice e del pubblico ministero. Ma pone una precondizione essenziale della parità delle parti poiché evita il rischio di contaminazione tra le funzioni. Un punto, secondo me meriterebbe una rimeditazione ed è quello, forse, del sorteggio dei membri del CSM separato dei Pubblici Ministeri, perché sui pm forse il sorteggio andrebbe temperato, per evitare rischi di condizionamento da parte del potere esecutivo. Ma questo è tema dei costituzionalisti.