Immaginate la cantante Elodie, paladina dell’inclusione e dei diritti civili che viene censurata da un sindaco di Fratelli d’Italia a causa delle “sue idee”? O se volete il trapper Gali, seguace della causa palestinese, la popstar Annalisa madrina del gay pride o chiunque altro nel campo progressista. Giustamente verrebbe giù il mondo: aperture dei quotidiani online, editoriali scandalizzati, appelli sui social network contro il nuovo “minculpop” e lo squadrismo culturale dei soliti fascisti. In una democrazia è sano difendere la libertà di espressione e di pensiero, soprattutto quella degli artisti, ed è sano indignarsi e reagire quando questo accade. Il principio vale per tutti ma, evidentemente, non per Giuseppe Povia, in arte Povia, vincitore del Festival di Sanremo nel 2006 e oggi caduto, se non in disgrazia, comunque ai margini dello star system musicale.

Povia avrebbe dovuto esibirsi a una festa patronale nel comune piemontese di Nichelino, 45mila anime alle porte di Torino. Come giurato di un talent e poi sul palco a strimpellare tre dei suoi successi. Avrebbe dovuto, perché il sindaco di centrosinistra Giampiero Tolardo ha annunciato che l’esibizione non ci sarà, rivendicando fiero il suo ruolo di censore: «Ha delle idee inaccettabili! Non è un problema di appartenenza politica ma di posizioni che ha rispetto ai diritti civili, quanto più lontano dai valori di democrazia che la nostra comunità incarna. Ho chiesto di rescindere immediatamente il contratto». Insomma, il cantante toscano è un nemico della democrazia e della comunità degli ottimati di Nichelino e, come tale, va bandito. Alle parole surreali di Tolardo si aggiungono quelle, ancor più surreali, del parlamentare Mauro Berruto, ex allenatore della nazionale italiana di volley e nuovo guru del Partito democratico, per trascinare la discussione nel ridicolo: «Sono orgoglioso di Giampiero Tolardo e del suo coraggio. È un fatto di civiltà di quel bene comune che è superiore a tutto». In effetti ci vuole un coraggio leonino nel censurare un artista in una saga di paese. Per il resto un assordante silenzio dalle fila dell’opposizione. L’unica voce stonata è quella di Marco Travaglio che non esita a parlare di «liste di proscrizione» progressiste: «C’è la libertà di espressione, di dissenso e pure di scempiaggine, purché non si torca un capello ad alcuno. E un cantante si giudica da come canta, non da ciò che pensa», scrive il direttore del Fatto quotidiano.

Le canzoni di Povia possono piacere o meno, come le sue concezioni tradizionaliste della famiglia, il suo essere contrario all’aborto e alle adozioni gay o il complottismo no vax con cui ha flirtato durante la pandemia di Covid. Cacciarlo dai palchi -e questo è già accaduto «già 40 volte» giura il cantautore- è però uno atto stupido e vigliacco. Altro che coraggio, altro che democrazia.