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E se provassimo a rovesciare il racconto? Se per una volta lo scontro sui migranti lo giocassimo sui dati e non sulle percezioni? Perché la questione del blocco di quella manciata di rifugiati in Albania, deciso dal Tribunale di Roma, non è che l’ultimo capitolo di una lunga saga di distorsioni. Un racconto che ignora volutamente i numeri, nascondendo sotto il tappeto una realtà ben diversa dall’apocalisse che ci viene dipinta, dal mantra dell'invasione, della difesa dei confini e del rischio per l’identità nazionale.
Facciamo parlare i numeri, allora. Nel 2023 l’Italia ha accolto circa 130.000 migranti via mare. Una cifra che può impressionare, certo, ma che sbiadisce se la confrontiamo con i 220.000 arrivi in Germania o i 200.000 in Francia. Eppure, da noi si continua a urlare all'invasione, a far credere che l'Italia sia la trincea dell'Europa. Una narrazione che giustifica trovate come la "soluzione albanese", che più che una vera misura concreta sembra un atto simbolico, un segnale per dire: "Stiamo facendo qualcosa".
Ma la verità è che non basta fare qualcosa, bisogna fare quello che serve. E serve altro, come ci ricorda Pasquale Tridico, presidente dell’INPS, con un avvertimento che è un pugno nello stomaco: “Senza i migranti, tra 20 anni i conti dell’INPS saranno critici”. La natalità è ai minimi storici e, se nulla cambia, dopo il 2040 avremo lo stesso numero di persone che va in pensione e che entra nel mondo del lavoro. Un rapporto di uno a uno che sarebbe la pietra tombale del nostro sistema previdenziale. E Tridico lo dice chiaro: “L’unica soluzione è un’immigrazione regolare e fluida”.
Il punto, allora, non è se l’immigrazione sia un problema, ma piuttosto come trasformarla in risorsa. I lavoratori stranieri sono già una linfa vitale per settori che fanno fatica a trovare manodopera, dal turismo ai servizi, fino ai mestieri più specializzati come fabbri, saldatori, tecnici della salute e ingegneri. Non lo diciamo noi, lo dicono i dati del Borsino delle Professioni di Unioncamere e Anpal. Le aziende italiane cercano, ma non trovano. La domanda di lavoratori c’è, la disponibilità no.
Allora perché continuiamo a parlare di emergenza? Perché, invece di costruire una vera strategia di integrazione, continuiamo a inseguire soluzioni temporanee e facili, come quella di trasferire i migranti in Albania? La risposta è semplice: è più facile ottenere consenso giocando sulla paura che affrontare il problema con lucidità e pragmatismo.
Se davvero vogliamo cambiare rotta, dobbiamo iniziare a guardare ai migranti non come un problema da risolvere, ma come una risorsa da gestire. Come ha detto Tridico, “le economie ricche hanno tutte molti migranti”. E senza di loro, l'Italia rischia di andare a picco. Non è una questione ideologica, è pura necessità. Il futuro del nostro Paese dipende dalla capacità di integrare, non di respingere.
La verità è che non risolveremo nulla con soluzioni di facciata. Non sarà l’Albania né qualche rimpatrio forzato a garantire il nostro futuro. Serve una politica migratoria intelligente, sostenibile, capace di guardare al lungo termine. Invece di parlare sempre e solo di emergenze, dovremmo cominciare a pianificare un'integrazione che riconosca ai migranti il ruolo che meritano: non come minaccia, ma come parte della soluzione.