Correre. È il dogma del governo sulla giustizia. Fare presto. Senza fermate. Senza emendamenti, in pratica. Soprattutto sulla separazione delle carriere. Ottimo, si direbbe. Il centrodestra realizzarà in tempi record non solo una riforma costituzionale ma anche una rivoluzione copernicana che smonta il potere delle correnti, e riporta la magistratura dallo status anomalo di “potere politico” alla condizione costituzionalmente plausibile di “ordine dello Stato”. Peccato che la rincorsa – legata, come ricordato in altro servizio del giornale, al temuto incrocio fra referendum e future elezioni politiche – costerà più di un sacrificio. Innanzitutto per la norma sull’avvocato in Costituzione. Era un obiettivo di via Arenula, il riconoscimento della “libertà e indipendenza” con cui l’avvocato deve poter esercitare il proprio ruolo in condizioni di parità con l’accusa. Tanto che quella norma era entrata nella prima versione del ddl costituzionale di Nordio. Poi la si è accantonata per evitare di infliggere alle toghe un presunto “doppio schiaffo”. Ora la fretta fa scivolare nel cassetto delle incompiute quella modifica dell’articolo 111. Un’occasione persa. Diranno che ci sarà tempo e modo per farne un ddl costituzionale ad hoc. Si vedrà. Ma forse, quando si tratta di Costituzione, il “bilanciamento” fra tempi e contenuti andrebbe curato, anche da un governo dalle idee chiare come quello di Giorgia Meloni, con un filo di attenzione in più.