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CARLO NORDIO, MINISTRO DELLA GIUSTIZIA
Il ministro della Giustizia Nordio ha sostanzialmente accusato la Corte penale internazionale di essere una “pasticciona”, di contraddirsi e di emettere mandati di cattura nulli: una valutazione molto severa che toglie a uno dei Tribunali su cui si regge l’ordine internazionale ogni credibilità, Ma il Ministro non è solo. Il presidente Trump con un ordine esecutivo ha imposto sanzioni contro il Tribunale penale internazionale, il principale Tribunale per i crimini di guerra e contro l’umanità. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha espresso molte riserve sul comportamento della Corte, così dicendo: «Forse bisognerebbe aprire una inchiesta sulla Corte penale».
Si ha l’impressione che ai potenti della terra dia molto fastidio l’esistenza di un Tribunale che sta sopra di loro e potrebbe un giorno giudicarli e persino arrestarli per violazione dei diritti dell’umanità. Ma proprio per la delicatezza della situazione demandata al giudizio della Corte si deve valutare serenamente da che parte sta la ragione e da che parte il torto.
Torniamo al ministro Nordio che ha sostenuto in Parlamento che il Ministro non è un “passacarte” e che, se riceve un mandato di arresto dal Tribunale internazionale, deve valutarne la fondatezza. Nel caso di specie il mandato di arresto nei confronti di Osama Njeem Almasri sarebbe nullo per la mancata individuazione del tempus commissi delicti, e in particolare per il periodo tra il 2011 e il 2015. L’obbligo di sindacare deriverebbe dall’art. 2 della L. 20 dicembre 2012, e in specie dal diritto- dovere del ministro della Giustizia secondo cui, «ove ritenga che ne ricorra la necessità, concorda la propria azione con altri ministri interessati, con altre istituzioni o con altri organi dello Stato. Al ministro della Giustizia compete altresì di presentare alla Corte, ove occorra, atti e richieste».
Il Ministro è stato molto abile, da par suo, a sfruttare questa norma, ma si tratta di una materia che non ha nulla a che vedere con il mandato di arresto internazionale. Lo si comprende facilmente dal testo della legge che fa riferimento alle richieste provenienti dalla Corte, e al coordinamento della propria azione con altri ministri interessati. Si tratta della cooperazione nella raccolta di elementi di prova richiesta dal Tribunale internazionale per i quali può essere necessario il contributo di altri ministri interessati o di altre istituzioni o di altri organi dello Stato. Peraltro, da un punto di vista logico, non si vede come altri ministeri potrebbero essere interessati a dare il loro parere su un mandato di arresto internazionale. Tant’è che di tale provvedimento non si fa menzione né nell’art. 2, né nell’art. 4 della legge 20 dicembre 2012, n. 237: anzi al di fuori del coordinamento per la raccolta di prove l’art. 4 dispone che «il ministro della Giustizia da corso alle richieste formulate dalla Corte penale internazionale, trasmettendole al Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma perché ne dia esecuzione».
Sarebbe assai singolare che spettasse a un organo dell’esecutivo sindacare la correttezza di un provvedimento giurisdizionale proveniente da un Tribunale internazionale. Per il 3° comma dell’art. 4 è la Corte d’Appello di Roma, ove ne ricorrano le condizioni, che da esecuzione alla richiesta con decreto con il quale delega un proprio componente.
Potrebbe osservare il ministro Nordio che mai si potrebbe dare esecuzione a un provvedimento privativo della libertà ove questo apparisse contraddittorio, “pasticciato” e comunque inidoneo a individuare il fatto di reato. È difficile dargli torto. La questione è se spetta a lui fare questa valutazione (e, come vedremo, non spetta al Ministro). In ogni caso si comprende, dalla comunicazione del ministro Nordio, che per il periodo dal 2015 al 2024 il provvedimento di arresto indicherebbe una serie di fatti criminosi di per sé idonei a giustificare l’arresto del ricercato. Non avere dato esecuzione almeno a questa parte della misura, costringendo la Corte d’Appello a scarcerare Osama Almasri, costituisce un fatto grave perché ha rimesso in libertà una persona giudicata pericolosa dallo stesso Stato italiano.
A tutto concedere il ministro Nordio avrebbe potuto segnalare alla Corte d’Appello di Roma che poteva dare esecuzione al mandato di arresto per la parte in cui lo stesso trovava conferma lasciando alle competenze della giurisdizione la valutazione di quanto osservato. Spiace soprattutto che un giurista come il ministro Nordio abbia forzato, a posteriori, una norma, e cioè l’art. 2, che fa chiaro riferimento alla cooperazione per le indagini, e non al mandato di arresto internazionale. C’è di peggio. Il ministro Nordio, mentre ha fatto riferimento all’art. 2 della legge 20 dicembre 2012, n. 237, che non riguarda specificamente la materia della consegna di persone, bensì in generale la cooperazione tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale, ha taciuto su quella parte della legge, dagli artt. 11 in poi, che regola la «applicazione della misura cautelare ai fini della consegna».
Non si può credere che il Ministro non conoscesse questa parte della legge se soltanto ha avuto modo di scorrerla. Perché l’ha ignorata? Le sequenze, in caso di una richiesta di consegna, sono le seguenti. I rapporti di cooperazione tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale sono curati in via esclusiva dal ministro della Giustizia al quale compete di ricevere le richieste provenienti dalla Corte e darvi seguito (art. 1). Perciò tutti gli atti passano per il ministro, anche quelli su cui non ha alcun sindacato. Competente per l’esame e l’esecuzione del provvedimento di arresto è la Corte d’Appello di Roma.
Il Procuratore generale, ricevuti gli atti, chiede alla Corte d’Appello l’applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti della persona della quale è richiesta la consegna ( art. 11, co. 1). La Corte d’Appello di Roma, sulla richiesta, decide con il rito camerale. Può dichiarare che non sussistono le condizioni per la consegna soltanto se non è stato emesso dalla Corte penale internazionale un provvedimento restrittivo della libertà personale; se non vi è corrispondenza tra l’identità della persona richiesta e quella della persona oggetto della procedura di consegna; se la richiesta contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato; se, per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato italiano sentenza irrevocabile ( art. 13, co. 3).
Sono evidenti due regole: la valutazione del mandato di arresto, sotto il profilo delle condizioni per la consegna, è di competenza esclusiva della Corte d’Appello di Roma; la Corte d’Appello deve limitarsi a esaminare se sussistono le condizioni di cui all’art. 13, co. 3. Perciò, il ministro non ha alcun potere di sindacare se il mandato di arresto sia o meno nullo, e tanto meno per ragioni diverse da quelle di cui alla citata disposizione. Perciò il ministro deve limitarsi a trasmettere il mandato alla Corte d’Appello.
Sono senza risposta queste domande: perché il ministro Nordio non si è attenuto alle disposizioni della legge 20 dicembre 2012, n. 237 che riguardano specificamente la consegna di una persona in esecuzione di un mandato di arresto del Tribunale penale internazionale? Perché il ministro Nordio ha taciuto sull’esistenza di queste disposizioni nella sua comunicazione al Parlamento? Temo che non ce lo dirà mai.