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Non ci saranno un processo né una sentenza a Genova il prossimo 5 novembre. Tutti e tre gli imputati attesi alla sbarra quel giorno con il rito immediato a rispondere di corruzione, Giovanni Toti, Aldo Spinelli e Paolo Signorini, hanno raggiunto un accordo con la procura. Se il 15 ottobre le tre proposte di patteggiamento saranno accolte dal giudice dell’udienza preliminare, l’aula del dibattimento resterà chiusa. E l’unica sentenza sarà quella pronunciata dai cittadini liguri nei giorni del 27 e 28 ottobre alle elezioni regionali, anticipate a causa dell’intervento della magistratura con gli arresti dei tre personaggi il 7 maggio scorso. Hanno svolto un ruolo politico i pm della procura di Genova guidata da Nicola Piacente? Sicuramente politico è stato il risultato.
Dopo quattro mesi dal giorno delle manette, non esiste più la maggioranza di centrodestra che guidava la Liguria da nove anni. Giovanni Toti è tornato all’antico mestiere di giornalista, ha scritto un libro (“Confesso, ho governato”) e si accinge ad attività sociali per 1.500 ore. L’imprenditore Aldo Spinelli ha concordato la condanna a tre anni e due mesi che non saranno scontati in carcere, ma tramutati, come prevede la legge per pene sotto i quattro anni, in attività sociali, e la confisca di 500.000 euro.
Paolo Signorini, l’ex presidente del porto di Genova che ha pagato qualche debolezza e amore per il lusso con la detenzione in carcere ed è tuttora ai domiciliari, ha concordato una pena di tre anni e cinque mesi. Sarà d’accordo il giudice? Si dà per scontato l’assenso agli accordi raggiunti in procura, soprattutto perché in questi quattro mesi mai l’ufficio del gip di Genova si è discostato neppure di una virgola dalle richieste dei pm.
Quanto al merito delle accuse, va rilevato prima di tutto che la procura pare aver accettato il fatto che tutta l’attività della Regione e in particolare ogni intervento del presidente Toti, dal rinnovo trentennale del contratto Rinfuse del porto, fino alla pubblicità di Esselunga e gli spot in favore dell’elezione del sindaco di Genova Marco Bucci, erano atti legittimi. Non è una notizia da poco. Perché i pm hanno dovuto ammettere che il fulcro della stessa inchiesta, la presunta “corruzione propria” che ha giustificato gli arresti, non esisteva. Certo, paga pegno anche lo stesso Toti, che accetta di essere bollato come uno che chiedeva contributi elettorali per la propria lista, trasparenti e regolarmente denunciati, in cambio del proprio dovere. Stravaganti risultati del sistema giustizia italiano.
Ora il clima in Liguria è tutto politico. E faranno fatica il candidato della sinistra, campo più elastico che largo, Andrea Orlando e i suoi compagni che hanno già sparato tutte le loro cartucce nella manifestazione contro Toti detenuto, a trovare il modo per alzare il tiro con l’uso politico di un processo che non c’è. Perché hanno tra i piedi un imprenditore come Aldo Spinelli il quale, carte alla mano, dice con soddisfazione di aver sempre aiutato economicamente sul piano elettorale tutti i partiti e tutti i candidati, a partire da quella Lella Paita, ieri del Pd, oggi responsabile di Italia Viva, che sta faticosamente cercando entrature nel campo largo di Schlein e Conte. E anche perché nessuno ha potuto dimostrare che Giovanni Toti abbia realizzato un arricchimento personale. Tanto rumore per nulla, ormai dicono in tanti. Certo, l’accordo con la procura non piace a coloro che avrebbero voluto vedere un Toti con la corona di spine oppure sulle montagne a fare la resistenza.
Delusioni comprensibili, bilanciate però dal fatto che, al contrario di quanto accaduto ai tempi di Berlusconi, quando nel 2013, 150 parlamentari del Pdl andarono a manifestare persino sulla gradinata del palazzo di giustizia di Milano, una grande mobilitazione in favore del proprio governatore a Genova non si è vista. Vecchie ruggini e qualche eccessiva rigidità dello stesso Toti hanno limitato le solidarietà a manifestazioni individuali di affetto personale. Difficoltà superate dalla scelta, veramente indovinata da parte del centrodestra e forse della stessa Giorgia Meloni, di candidare alla presidenza della Regione l’uomo più amato in patria e stimato anche nel campo avversario, il sindaco di Genova Marco Bucci, il cui nome era citato come positivo a ogni occasione dallo stesso Matteo Renzi che oggi cavalca il fronte avversario.
Ma non è detto che le pagine giudiziarie siano del tutto chiuse. Non va dimenticato infatti, prima di tutto, che proprio il giorno in cui i partiti dell’opposizione marciavano in piazza De Ferrari a Genova per infierire contro un detenuto e invocarne le dimissioni, la procura aveva emesso una nuova richiesta di cattura nei confronti di Toti per violazione della legge sul finanziamento dei partiti, reato escluso dal processo immediato fissato per il 5 novembre.
Che fine ha fatto quel filone di indagine? Si suppone che l’avvocato Stefano Savi sia stato così abile da inserirlo nel pacchetto- trattativa che ha portato all’accordo tombale con la procura. Accordo definitivo, immaginiamo. Però c’è un altro filone di indagine che rimane aperto. Che fine ha fatto l’inchiesta partita da La Spezia nei confronti dell’ex capo di gabinetto di Toti, Matteo Cozzani, in cui, con il primo decreto di intercettazioni dell’agosto 2020, si contestava al braccio destro del governatore e ad altri indagati l’aggravante di mafia? Quel primo provvedimento del 17 agosto 2020 e soprattutto il successivo del 3 marzo 2021 hanno illuminato a giorno tutta l’attività della giunta ligure di Toti con registrazioni ventiquattro ore su ventiquattro per tre anni e mezzo. Con tutti i vantaggi, per la procura, delle procedure ampie previste dalla legislazione antimafia.
L’inchiesta che ha spazzato via la Regione Liguria si è costruita lì, in quelle intercettazioni. Con le quali si è raggiunto il primo risultato politico, le dimissioni del governatore e la caduta della giunta. Tra un mese ci saranno le elezioni, e speriamo che in questo breve lasso di tempo non si aprano nuovi filoni di indagine. Ma intanto il primo risultato politico è comunque stato raggiunto. Il secondo sarebbe il ribaltone. È già capitato.