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L’edizione 2024 del manuale di diritto privato di Francesco Gazzoni, accademico emerito di diritto privato alla Università La Sapienza di Roma, ha suscitato in questi giorni una notevole polemica, soprattutto per le parti che riportano una serie di giudizi non favorevoli rivolti alla magistratura.
Non è qui il caso di ripetere i diversi passaggi incriminati. In sintesi riguardano il principio che la giurisprudenza diventi autonoma fonte di diritto, cioè creativa, così da sentirsi superiori alla legge; il fatto che i magistrati entrino in ruolo in base ad un mero concorso per laureati ed appartengono in maggioranza al genere femminile che non mostra particolare equilibrio nell’affrontare le questioni di diritto di famiglia; che progrediscono nelle funzioni e nello stipendio in base all’anzianità e non al merito, onde sono premiati anche magistrati che si sono resi colpevoli per negligenza come nel caso Tortora e così altre osservazioni sui tempi e la durata delle sentenze.
Ovviamente tutto ciò non è piaciuto all’Associazione Nazionale Magistrati che lo ha ritenuto «uno stupido dileggio dell’ordine giudiziario», cosa ancor più grave dato che il testo come tutti i manuali di diritto è dedicato soprattutto alla formazione dei giovani giuristi. Come non pretendere che questi in corso di divenire futuri giudici o avvocati debbano acquisire opinioni più che convenienti nei confronti dell’organo di cui faranno parte. Immaginare, di contro, che proprio queste critiche potrebbero migliorare e rendere più efficace il percorso della magistratura non è ipotesi che possa essere presa sul serio.
D’altronde, coloro che criticano il manuale dovrebbero valutarne il suo contenuto. E, qualora l’impegno dovesse risultare troppo gravoso, andare almeno a leggere quello che Hadrian Simonetti, presidente di sezione del Consiglio di Stato e autore di Le virtù di un manuale, in Judicium, Aprile 2022, ebbe modo di scrivere a proposito del manuale di Gazzoni: «Era un testo difficile, il manuale, che metteva a dura prova. Studiandolo e imparandolo, potevi risparmiarti la sforzo di andare a sfogliare anche le riviste al tempo, ancora cartacee, per leggere le principali sentenze della Cassazione. Tanto più che di quelle sentenze non di rado Gazzoni si faceva carico lui stesso di critiche aspre, talvolta vere e proprie stroncature, compendiate nell’uso e nell’abuso del verbo “errare” riferito ogni volta a quelle della magistratura».
Un giurista che si autodefinisce “non vivente”, forse perché non fa parte di questo mondo giuridico, ma che ha insegnato e formato, più di una generazione di magistrati, avvocati e notai che si sono avvalsi delle diverse edizioni del suo manuale, che non aveva nulla a che fare con quegli scritti di giuristi i quali, come denuncia Hadrian Simonetti, «vanno forse oggi per la maggiore e nei quali convive una sorta di trinità laica: l’autore del testo, il docente-responsabile del corso, l’estensore della sentenza».
Ma se la lettura del manuale è troppo impegnativa, bisognerebbe almeno da parte dei critici contro argomentare le osservazioni “indegne” che portano l’esponente del Pd, Debora Serracchiani, a chiedere sorprendentemente al Ministro dell’Università se intende mantenere quel testo per gli studi giuridici. Contro argomentare, ad esempio, per quanto concerne il caso Tortora. Se sia giusto o meno che la carriera di un magistrato sia la conseguenza di sentenze appropriate o che poco importa, di contro, che queste abbiano condotto qualche innocente in galera, lasciando per strada altri colpevoli.
Peraltro, come ricorda Pieremilio Sammarco, le cronache degli ultimi tempi hanno gettato discredito nella magistratura. Difenderla appare necessario, perché è una struttura fondamentale in un sistema democratico, ma non riconoscerne i difetti, quando questi appaiono evidenti, implica sottovalutare la necessaria imparzialità dei giudici, la loro capacità professionale, l’importanza della funzione che svolgono a carico dei cittadini.
Non si giustificano altrimenti pubblicazioni recenti, quali quella ricordata di Stefano Zurlo dal titolo “Il nuovo libro nero della magistratura”, in cui viene riportato un campionario di nefandezze commesse da togati. E non si giustificano i molti articoli critici che leggo sul Dubbio nel settore giustizia. Diversamente, pertanto, dal dissenso manifestato su queste pagine dal Collega Enrico Novi, non posso che pienamente condividere le osservazioni di Pieremilio Sammarco, pubblicate su questo giornale.