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«Forza papà! Sappiamo che hai la testa dura», posta su Instagram Renzo Bossi, che dà notizie al telefono anche a Silvio Berlusconi. Il peggio, dunque, sembra scongiurato. E Umberto Bossi, “il guerriero”, come lo definisce il figlio, la testa ce l’ha dura davvero. «Un uomo duro con la politica, ma anche testardo fino ad essere spietato con se stesso. La sua vita è la politica, la passione politica, e non la mollerà mai», dice un leghista del gotha di Via Bellerio che l’ “Umberto” lo conosce da sempre.
Nonostante gli acciacchi fisici dovuti ai postumi della malattia che lo colpì quindici anni fa, Bossi la politica ha continuato sempre a farla. E continuerà a farla sempre, assicura chi lo conosce bene. Ha continuato a guidare il partito fino al 2012; è tornato al governo come ministro delle Riforme per il Federalismo, nell’ultimo esecutivo di Berlusconi. Fino a poche sere fa era in parlamento, dove ora è senatore, tornando il Senatùr a tutti gli effetti, perché dopo la prima elezione nel 1987 a Palazzo Madama è stato per lunghissimo tempo alla Camera. E, come ha scritto Il Dubbio, ha fatto in tempo, prima di esser ricoverato un giorno dopo, a commuoversi per quel minuto e mezzo di applauso voluto da Matteo Salvini che festeggiando la vittoria in Abruzzo ha detto: «Non starei e non staremmo qui se non ci fosse stato Umberto». Bossi in aula ha cercato in questi anni di esser presente sempre e forse anche più assiduamente di parlamentari di altri partiti. Lo ha fatto a costo di reggersi a volte l’anima con i denti. Ma la sua figura che cammina sbilenca per i corridoi del Palazzo “romano”, anzi di «quel potere centrale romano che tanto male ha fatto proprio al Sud», come ha detto alla cronista solo pochi giorni fa, è ormai una presenza fissa, come un monumento in tutti questi anni alla resistenza fisica, in nome di una scelta di vita. «Mai mula’ tegn dur», è il motto del Senatùr. Che quasi sempre con un ghigno un po’ sdegnato rifiuta il bastone che gli offre l’assistente. Tra i collaboratori alternatisi in questi anni, come una cifra della Lega “popolana”, ci sono ex edili, ex operai. Passione politica e disciplina di partito in un “movimento” che lui costruì sul modello del Pci, dove le sedi si chiamano ancora sezioni. «Nella ferrea disciplina di partito, che Umberto ha costruito come una macchina militare, e anche in altre cose Matteo è il suo erede», spiega un altro leghista di rango. Che ricorda la fatica anche fisica «pazzesca» del “padre” della Lega, allora Nord: «Umberto è l’unico politico che è davvero partito da zero, guidava da solo la sua Citroen, piena di volantini, colla, e quando arrivava nei paesini della “Padania” mica c’era nessuno che andava ad accoglierlo, magari lo prendevano per un matto… Era roba da farsi 150.000 chilometri in un mese e spesso appunto guidando da solo, ecco anche in questo io credo che Salvini sia suo degno erede, perché non solo ha quella disciplina di partito che ti porta a essere di parola con gli elettori, ma ha una resistenza fisica alla pari di quella che aveva Bossi. Salvini è uno che macina migliaia e migliaia di chilometri, un giorno è al tempo stesso in Ghana, poi a Roma, poi la sera in qualche paese italiano». Salvini pure ha viaggiato per anni con una macchina piena di manifesti, volantini, secchi di colla, persino le stampelle per i veloci ricambi d’abito. Ma la “macchina da guerra”, come ha ricordato Bossi stesso, all’ AdnKronos, proprio la sera prima del malore, gliela ha lasciata in dotazione il fondatore e presidente a vita del partito. «Umberto gli ha lasciato la navicella dalla quale poi è partito il missile nello spazio», spiega il dirigente leghista al Dubbio. Bossi è stato l’innovatore del linguaggio politico, termini come «trovare la quadra» vengono usati da tutti, «l’innovazione – spiega ancora il leghista – consisteva nel cercare di far comprendere a tutti temi complessi e questioni che allora erano tabù come l’autonomia, il federalismo, la minaccia di secessione per avere la devoluzione, usando le parole da uomo del bar». E Salvini? «Matteo sulla sua scia ha saputo innovare con l’uso dei social davvero, altro che Cinque Stelle. E anche lui parla un linguaggio diretto». La Lega era e resterà un partito radicato nel territorio. Internet certamente ma mai lasciare il territorio, a differenza dei grillini, «perché questa storia della disintermediazione è una vera menata. E la Lega è ormai l’unico vero partito rimasto in Italia», spiegano ancora ai piani alti di Via Bellerio. Forse nel look il fondatore chiamato nella Lega ancora “Capo” sono un po’ distanti. E però anche con quel look un po’ trasandato da “popolano”, come lui stesso si è sempre definito, incuriosendo molto quando arrivò al Senato l’Avvocato Agnelli ma anche dirigenti del Pci come Emanuele Macaluso, Bossi ha sempre voluto dire al “popolo” che lui è uno di loro. Ora tutti e non solo la Lega non vedono l’ora di rivederlo in parlamento. Alessia Morani, deputata del Pd, che Bossi lo ha conosciuto in questi anni ha twittato: «E’ un uomo e un politico arguto e intelligente». Il “barbaro” di Gemonio è uno che conosce praticamente a memoria opere di Shakespeare. Libri divorati di notte quando da ragazzo non faceva prender sonno al fratello, perché teneva la luce sempre accesa.