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«I principi affermati dalla sentenza della Cedu del 14/ 4/ 2015, Contrada c. Italia, non si estendono nei confronti di coloro che, estranei a quel giudizio, si trovino nella medesima posizione quanto alla prevedibilità della condanna per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, in quanto la sentenza non è una “sentenza pilota” e non può considerarsi espressione di una giurisprudenza europea consolidata». Così le sezioni unite della Cassazione, con la sentenza depositata martedì scorso, rigetta il ricorso proposto dal marsalese Stefano Genco e difeso dagli avvocati Stefano Giordano e Michele Capano.
Il ricorrente, ricordiamo, era stato condannato alla pena di quattro anni di reclusione in quanto ritenuto responsabile di concorso esterno in associazione mafiosa. Il fatto che lui avrebbe commesso questo reato in periodi antecedenti al 1994, rappresenta uno dei cosiddetti “fratelli minori” di Bruno Contrada. Il caso è stato sollevato dall’avvocato Stefano Giordano del foro di Palermo che ha presentato un ricorso contro una sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta, accolto dalla Sesta Sezione penale della Cassazione.
Il ricorso dell’avvocato Giordano avverso una sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta ( che aveva ritenuto non estensibili a terzi gli effetti della sentenza emessa nell’aprile 2015 dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a favore di Bruno Contrada per la condanna inflitta per concorso esterno in associazione mafiosa), è stato quindi accolta dalla Sesta Sezione penale della Corte di Cassazione e, con ordinanza emessa il 22 marzo dell’anno scorso, ha rimesso alle Sezioni Unite la decisione circa la questione dell’estensibilità o meno degli effetti della sentenza Contrada a favore dei cosiddetti “fratelli minori”.
La Corte Europea, il 14 Aprile del 2015, aveva stabilito che la sentenza è legittima solo per fatti commessi dopo il 1994. Lo ha stabilito per Contrada, ma ha identificato un deficit sistemico nell’ordinamento: fino a quel momento il reato non era infatti, per la Corte, configurato in modo sufficientemente chiaro. Da ricordare che Contrada era stato condannato per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa che avrebbe commesso tra il 1979 ed il 1988. Per la Corte Europea, in questo arco temporale in giurisprudenza non era stato ancora univocamente risolto il quesito circa la configurabilità della fattispecie ravvisata e, di conseguenza, non era possibile prevedere il carattere illecito della condotta e la connessa sanzione.
Un principio che riguarda proprio quella “certezza della pena” che oggi però viene citata confondendolo con altro. La pena è certa quando il cittadino che tiene una certa condotta sa se essa costituisce reato oppure no, e in caso positivo quali sono le sanzioni previste. Si è cercato di annullare le conseguenze che la pronuncia Contrada avrebbe avuto nel sistema, perché si sarebbero dovute revocare tutte le sentenze di quelli che, pur non avendo fatto ricorso a Strasburgo, erano comunque nelle stesse condizioni di Contrada.
«Tanti sono i giuristi – sottolinea a Il Dubbio l’avvocato Giordano – che si sono schierati a favore di questa pronuncia, da Francesco Viganò a Giovanni Fiandaca, osservando che, per garantire l’uniformità di trattamento, gli effetti della pronuncia Contrada si dovevano riconoscere anche agli altri casi, essendo una sentenza che riguarda aspetti generali». Ma, di fatto, si è cercato di evitare che ciò accadesse. La sentenza della Cassazione ha messo il sigillo decidendo che il principio della sentenza Contrada non si estende a tutti gli altri “fratelli minori”.
L’avvocato Stefano Giordano annuncia Il Dubbio che farà ricorso alla Corte Europea. «Rispettiamo la sentenza delle sezioni unite – spiega -, ma la motivazione è piena di contraddizioni e finisce col reiterare, aggravandole, le numerose violazioni convenzionali denunciate col ricorso. Stiamo già preparando i ricorsi per tutti gli altri “fratelli minori” di Bruno Contrada. Che – conclude l’avvocato -, a questo punto sono più che fratelli, figli di un dio minore».