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Caro direttore, ho letto con attenzione l’articolo di Ugo Intini pubblicato giovedì sul Dubbio dal titolo L’Occidente, elefante infiacchito. E ancora una volta ho visto in lui una persona onesta ma, absit iniuria verbis, ‘ povera di spirito’ ( dei poveri di spirito, lo sappiamo, sarà il regno dei cieli: noi, invece, siamo attesi da Old Nick nell’Inferno. Old Nick, nel teatro elisabettiano, era il nostro Segretario fiorentino).
Segnalo qualche passaggio particolarmente significativo. «L’ 1 per cento più ricco dei Paesi avanzati ha moltiplicato a dismisura il suo reddito». E’ vero ma quando più avanti si legge che «le diseguaglianze si sono accresciute soprattutto negli Stati Uniti ( probabilmente per la politica iper- liberista vincente)», ci si chiede: può esserci globalizzazione senza “iper- liberismo”?
Andiamo avanti. «Esportare i nostri diritti umani e sindacali nei Paesi che non li hanno, rendendoli quindi meno competitivi, grazie alla perdita graduale del vantaggio costituito per loro dal basso costo della manodopera». «Sfida difficile», commenta Intini.
U credu ben!, dicono a Genova. Ma è pensabile una globalizzazione - quel fenomeno che vede nel mondo un’indivisa unità di produzione e di consumo - che interferisca sulle politiche nazionali che consentono a certi Paesi di mettere sul mercato i loro prodotti a prezzi più bassi? Sarebbe come chiedere ai bancarellari di Porta Portese di non vendere le loro camicie a prezzi del 50 per cento inferiori a quelli dei negozi del centro giacché sono costate al produttore straniero il 25 per cento di meno rispetto al produttore italiano ( che se la deve vedere coi diritti sindacali).
Un problema grande come l’Everest. Come potremmo pensare di risolvere: facendo seguire alla globalizzazione economica quella politica, il ” Governo Mondiale”?
Tralascio altri punti e vengo al momento ‘ rassicurante’ dell’articolo di Intini: «Le conseguenze negative della globalizzazione sui ceti medi dell’Occidente non sono affatto inevitabili». Già e come? Elementare Watson: «Mediante politiche che nessun singolo Stato nazionale può perseguire da solo. Può farlo soltanto ( forse) l’azione congiunta tra un’Europa politicamente unita e gli Stati Uniti».
Nelle tragedie greche si parla di deus ex machina. Non un solo esempio concreto, una proposta, un progetto di ciò che si potrebbe fare per realizzare un sì vaste programme. Basta la demonizzazione dei ‘ sovranisti’ ( sentenziando che “non è quella la strada..”) e, per il resto, lassamm’ fa a Dio.
A parte il problema dei ceti medi, però questione indubbiamente seria giacché è sui ceti medi che si fonda la politeia come Aristotele avrebbe chiamato la nostra democrazia liberale, ci si chiede: e la comunità politica? Esistono solo i ‘ diritti’ e gli ‘ interessi’- entrambi universalizzabili - per la riflessione politica? E i popoli, che nella magistrale analisi di Samuel P. Huntington, La nuova America. Le sfide della società multiculturale ( Ed. Garzanti 2005), si battono per qualcosa che non si riduce a ‘ diritti’ e ‘ interessi’: sono da considerare una zavorra nella mongolfiera del progresso di cui sarebbe meglio disfarsi il prima possibile?
Il fatto che la maggioranza ( reazionaria) della country voti per la Brexit e che le minoritarie élite colte e cosmopolitiche eleggano i sindaci progressisti di Los Angeles, Londra, Parigi, etc. dovrebbe portarci a riflettere sulla democrazia e a riscoprire le virtù del saint- simonismo e del comtiano pouvoir spirituel?
Debbo essere franco: ho un’età in cui mi riconosco il diritto di guardare le cose dall’alto e di osservare globalisti e sovranisti come se fossero due squadre in campo. Chiedendomi come andrà a finire la partita ma con la triste consapevolezza che, qualunque sarà il risultato finale, per quelli della mia generazione si prepara un mondo diverso: tocquevillianamente, non peggiore ( come pensano i pessimisti) ma neppure migliore ( come pensano i Pangloss della globalizzazione).
Un mondo davvero irriconoscibile.