PHOTO
Ambienti non sanificati, accessi incontrollati, udienze non comunicate. E poi ancora assembramenti e disparità di trattamento che rischiano di marcare gli squilibri tra le parti processuali. La Fase 2 della Giustizia continua a dimostrarsi caotica e instabile anche al suo secondo giorno. Complice una moltitudine di protocolli, a volte differenti anche tra le diverse sezioni di un unico tribunale, che trasforma il rientro nelle aule in un vero e proprio dramma. E talvolta, neanche le linee guida sono insufficienti a garantire una ripartenza in sicurezza delle udienze.
«Le cose sono andate come era prevedibile: in molti casi preesiste all’emergenza una inadeguatezza delle strutture che ospitano i tribunali - ha affermato il presidente del Consiglio Nazionale Forense, Maria Masi, nel corso di un’intervista a Radio Anch’io -. Ci sono problemi logistici prevedibili, a cui poi si aggiungono quelli organizzativi, quelli di afflusso e di accesso. C’è un problema legato anche all’accesso agli uffici, con riferimento alle cancellerie, che si potrebbe risolvere magari con una flessibilità maggiore degli orari e con un accesso regolamentato. L’avvocatura - ha aggiunto si è resa assolutamente disponibile per una migliore organizzazione». Il problema riguarda anche i rinvii delle udienze, molte anche al prossimo anno, andando ad ingolfare ruoli già di fatto carichi. E ciò anche all’interno delle stesse regioni e addirittura degli stessi distretti, dove coesistono norme di funzionamento diverse «e questo per i cittadini è difficile da comprendere ha sottolineato ancora Masi -. Noi non disperiamo, però dobbiamo essere consapevoli che guardiamo tutti nella stessa direzione».
L’Unione delle Camere penali parla di “Babele giudiziaria”, chiedendo un intervento della politica e rimarcando il caos confermato anche nella seconda giornata di Fase 2, «anche per la mancanza di uniformità di indirizzi dei singoli provvedimenti dei capi degli Uffici - si legge in una nota a firma del segretario Eriberto Rosso -. Il 9 maggio l’Unione Camere Penali ha segnalato al ministro della Giustizia e al Csm le incongruità dei provvedimenti di rinvio delle udienze a date lontane (anche nel 2021), che stanno creando la paralisi della giurisdizione penale. In questo quadro allarmante, deve essere positivamente sottolineata la presa di posizione del Csm», che martedì ha annunciato «una prossima riunione di tutti i presidenti delle Corti di Appello per valutare i provvedimenti organizzativi fin qui assunti ed “individuare linee guida che garantiscano una tendenziale uniformità dei criteri di gestione della progressiva ripresa dell’attività giurisdizionale”. Tocca ora alla politica intervenire – anche in via di urgenza – con norme più stringenti per agevolare la ripresa dell’attività giudiziaria, in modo uniforme».
A rimarcare la situazione ci pensa anche la Camera penale di Milano, che in una lettera indirizzata al Presidente del Tribunale propone il resoconto delle prime due giornate da incubo della Giustizia in fase emergenziale. I penalisti denunciano l’inosservanza delle norme, con «banchi di udienza non puliti», disinfettati dagli stessi avvocati «con strumenti propri», i microfoni ad uso promiscuo «non protetti da dispositivi di protezione usa e getta» e totale assenza di gel disinfettante all’ingresso delle aule. Insomma, tutte le norme studiate dal governo e dalle task force per il rientro sui luoghi di lavoro in sicurezza non sono state rispettate. Complici, forse, anche linee guida poco chiare. La Camera penale chiede dunque chiarezza, ma anche di adottare «specifici accorgimenti finalizzati ad una sicura fruizione delle aule ( distanziamento banchi con eventuale segnaletica, individuazione aule più spaziose eccetera)». Ma i problemi riguardano anche il livello organizzativo. Se, da una parte, il tribunale ha previsto una comunicazione indirizzata alla Procura, con una settimana di anticipo, dell’elenco dei processi che saranno trattati e di quelli che saranno rinviati, tale comunicazione non è invece prevista per gli avvocati, «con grave pregiudizio per la possibilità dei difensori di preparare le udienze medesime, citare o contro- citare eventuali testi». Un atteggiamento che «oltre a evidenziare un distonico trattamento delle parti processuali necessarie, rischia di determinare nel concreto ingressi inutili a Palazzo di Giustizia e perfino assembramenti, laddove gli avvocati non siano avvisati per tempo che la loro udienza verrà o non verrà trattata».
A Bari, intanto, dove avvocatura e magistratura hanno già subito gli effetti nefasti di mesi di udienze in tenda, per via dei problemi strutturali del Palagiustizia, la Camera penale ha proposto di utilizzare sale cinematografiche, palestre scolastiche o i padiglioni della Fiera del Levante come aule, per evitare ulteriori limitazioni. E ciò a causa dell’impossibilità di celebrare i processi nelle aule del tribunale di Poggiofranco, troppo piccolo per garantire il distanziamento sociale. Un problema che il presidente della Corte d’Appello ha tentato di risolvere affidandosi ai numeri “eliminacode” per gli avvocati in attesa di entrare nel Palagiustizia, disponendo inoltre screening sierologici per avvocati, magistrati e personale amministrativo.