Sotto la spinta del “caso Emiliano”, la Camera ha dato il via libera questa settimana al ddl in materia di “candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati”. Il provvedimento, approvato con 211 sì, 2 no e 29 astenuti, passa ora al Senato dove Forza Italia ha già minacciato le barricate. Come dichiarato a caldo dal capogruppo azzurro alla Camera Renato Brunetta, «questo provvedimento, rispetto a quello approvato a larga maggioranza tre anni fa a Palazzo Madama, è stato totalmente annacquato e non porterà a nulla». E a proposito del rapporto delle toghe con la politica, il consigliere Pierantonio Zanettin, prima di essere eletto componente laico del Csm, alla Camera nel 2001 ed al Senato nel 2013 aveva presentato un disegno di legge, con l’assenso della maggioranza e dell’opposizione, per regolamentare in maniera più efficace la materia.

Consigliere, hanno quindi stravolto il suo testo?

Il testo del 2013, di cui ero relatore insieme a Felice Casson, magistrato e autorevole esponente del Pd, venne approvato all’unanimità. Si era trovata un’ampia convergenza sul fatto che il magistrato, terminato il suo mandato, non dovesse tornare a giudicare, perché l’elemento essenziale di chi riveste la toga non è essere imparziale ma apparire tale. Mi sembra evidente che se un magistrato ha avuto ruoli politici e poi torna a svolgere funzioni giurisdizionali, la sua imparzialità può essere messa in discussione.

Cosa pensa del testo approvato alla Camera?

Non credo ci siano dubbi sul fatto che il testo originale sia stato annacquato.

E’ d’accordo con Brunetta?

Lasciando stare gli schieramenti politici, è chiaro come il Pd abbia voluto rendere più blande le regole per i magistrati che tornano in servizio dopo aver deciso di fare politica attiva.

Cosa non le piace di questo ddl?

Leggo: “I magistrati eletti alla carica di presidente della Regione, consigliere regionale, consigliere comunale o circoscrizionale, una volta cessati dal mandato non possono, per i successivi tre anni, prestare servizio in un distretto di Corte di appello in cui è compresa, in tutto o in parte, la circoscrizione elettorale nella quale sono stati eletti e non possono esercitare funzioni inquirenti. Una volta ricollocati in ruolo tali magistrati non possono, in ogni caso, ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi per un periodo di tre anni”. Tre anni sono un periodo molto limitato. Chi ha ricoperto l’incarico, ad esempio, di presidente di Regione, magari per due mandati, si è sicuramente creato una rete di relazioni che resiste oltre quel lasso temporale.

Poi?

Se il magistrato si candida ma non viene eletto rientra immediatamente in servizio. L’unico limite è che verrà destinato in un ufficio che non ricade nella circoscrizione di candidatura e per 2 anni non potrà esercitare funzioni inquirenti. Non penso sia il massimo in tema di terzietà ed imparzialità. Stiamo parlando di una persona che fino al giorno prima cercava di prendere i voti per essere eletta, partecipando a comizi, tessendo accordi, schierandosi apertamente. Perse le elezione va a fare il giudice. Che altro dire?

E la previsione, in via transitoria, di un ritorno in Corte di Cassazione o alla Direzione nazionale antimafia?

Questa è una delle parti più sorprendenti del testo. Stiamo parlano di posti ambitissimi dove per andare c’è la fila. Ricordo che il dottor Nino Di Matteo, il pm del processo sulla presunta trattativa Stato- mafia, ha fatto domanda più volte prima di essere scelto dal Csm per la Dna pur essendo un magistrato esperto che si è sempre occupato di crimine organizzato. Sono posti, la Cassazione e la Direzione nazionale antimafia, dove si accede con determinati requisiti, molto selettivi. Con questa norma si crea, invece, una sorta di corsia preferenziale per chi è stato in politica.

Il caso Minzolini con questa legge verebbe evitato?

No, perché sono state soppresse le parti sulla disciplina in materia di astensione e ricusazione dei giudici per chi ha partecipato a consultazioni elettorali o ha ricoperto incarichi di governo nazionale, regionale o locale.

Perché il Pd ha cambiato opinione?

Non lo so. Anche perché aveva un assist clamoroso dal Csm. Avevamo votato, all’unanimità, un parere per inasprire il rientro delle toghe. Molti era d’accordo sul fatto di prevedere un rientro in altri ruoli della pubblica amministrazione. Ripeto, la decisione della maggioranza è assolutamente insensata. D’altra parte è evidente che su alcune incredibili storture il Csm sia solo nel cercare di fare argine.

A cosa si riferisce?

A vicende come quella, solo per citare un fatto delle ultime ore, del dottor Michele Ruggero, sostituto procuratore della Repubblica a Trani il quale, all’indomani della sentenza che ha assolto dall’accusa di manipolazione del mercato le agenzie di rating internazionali, pubblica sul blog di Beppe Grillo, house organ del Movimento 5 stelle, un lunghissimo intervento dal titolo “solitudine e speranza di un pubblico ministero”, dai toni decisamente autocelebrativi, in cui esalta il lavoro svolto, “nel nome del popolo sovrano”.

Come può intervenire il Csm?

Lunedì chiederò al Comitato di Presidenza l’apertura di una pratica in prima commissione per valutare eventuali profili di incompatibilità ambientale o funzionale per quel magistrato.

Un’ultima domanda. La sezione disciplinare del Csm lunedì sarà chiamata ad esprimersi proprio su Emiliano. Previsioni?

Non le faccio. Mi auguro solo che la decisione sia esemplare. Qui ci troviamo di fronte a un magistrato che non solo ha preso la tessera di un partito, fatto vietato di suo, ma si è pure candidato alla segreteria. E non credo ci sia un ruolo più politico di questo.