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Prende sempre più largo l’ipotesi che Pino Gregoraci, detenuto in attesa di giudizio nel carcere di Voghera, avrebbe voluto simulare il suicidio per attirare l’attenzione su se stesso perché le sue richieste non venivano ascoltate. Ma alla fine è morto. Una vicenda tragica che l’Associazione Yairaiha Onlus ha voluto portare a conoscenza dopo aver ascoltato le testimonianze di alcuni detenuti che lo conoscevano. Pino era molto depresso e non era mai riuscito a rassegnarsi a vivere senza un piede. Con l'aiuto dei suoi compagni aveva presentato decine di istanze per parlare con uno psicologo, ma non è mai stato chiamato. «I suoi compagni sono arrabbiati – denuncia Sandra Berardi dell’associazione Yairaiha Onlus - e ci fanno sapere che la morte di Pino peserà sulla coscienza dei sanitari che non hanno ascoltato le sue richieste di aiuto. Ogni volta che tornava dalla telefonata o dai colloqui piangeva disperato».
Dai racconti emerge che gli stessi agenti penitenziari sono rimasti scioccati e hanno chiesto ai compagni di Pino: «Perché se sapevate che era così depresso non ci avete informato? Avremmo potuto fare qualcosa di più, era un bravo ragazzo!». L’associazione spiega che Pino aveva saputo che stavano per trasferirlo a Busto Arsizio ma non voleva, perché a Voghera si era ' abituato', aveva trovato qualche amico e in sezione i compagni lo curavano. Quindi Pino non voleva uccidersi realmente, ma voleva solo attirare l'attenzione sul suo disagio contro una eventuale indifferenza dei sanitari? Resta il fatto che poco tempo fa un ragazzo con problemi di depressione aveva tentato il suicidio e in seguito venne trasferito in una casa di cura. Forse Pino ha pensato che avrebbe potuto farcela anche lui ad aggirare l’indifferenza.
L'uomo, sposato e padre di tre figli, era indagato dalla Procura distrettuale di Reggio Calabria per le ipotesi di reato di associazione mafiosa e attività finanziaria abusiva in concorso. Dopo l'arresto, i legali di Gregoraci, avevano chiesto la sostituzione degli arresti in carcere con una misura alternativa quale gli arresti domiciliari, che ritenevano più consona ai problemi di salute del 51enne, peraltro rappresentate attraverso delle consulenze mediche. Arrestato a luglio, da agosto era recluso in alta sorveglianza nel carcere di Voghera in attesa del processo. L’associazione Yairaiha Onlus fa sapere che pochi giorni prima del suicidio aveva avuto rassicurazioni anche in merito al suo processo: erano state trovate le telefonate che lo avrebbero scagionato dalle accuse. Ma forse, quel giorno, aveva nuovamente perso la speranza. «La depressione – spiega l’associazione- è campanello d’allarme di malesseri più profondi che stanno lì, ed esplodono quando meno te lo aspetti. I suoi compagni non sanno di preciso quale pensiero abbia attraversato la sua mente fragile».
I suoi compagni, alle 13.50 di mercoledì scorso, mentre andavano in saletta, lo hanno visto che stava seduto in carrozzina, da solo. lo invitarono a fare una partita a carte, rispose che aveva mal di testa e preferiva risposarsi. Al rientro dall'aria, poco dopo le 14, sono risaliti tutti in sezione trovando Pino appeso nel bagno, con il cuore che ancora gli batteva. Ma non c'è stato niente da fare. L’associazione Yairaiha Onlus racconta che è seguita la telefonata alla moglie per comunicarle l'accaduto: ' signora suo marito è deceduto'. La signora riattacca il telefono pensando ad uno scherzo di pessimo gusto. La richiamano nel giro di pochi minuti: ' signora ma lei ha capito che suo marito è morto?'. «Una macabra telefonata a 1300 km di distanza, neanche la delicatezza di mandare un assistente sociale ad avvisare», conclude amaramente l’associazione.
Resta il fatto che non è la prima volta che al carcere di Voghera emergono problemi dal punto di vista dell’assistenza sanitaria. Abbiamo già parlato su Il Dubbio
del caso di Salvatore Giordano segnalato sempre dall'associazione Yairaiha Onlus. Ai familiari era stato detto che il detenuto - recluso nel carcere di Voghera - aveva un lieve ingrassamento del fegato da curare con l'alimentazione, ma quando sono andati a trovarlo in ospedale la vigilia di Natale lo hanno trovato in condizioni devastanti. Poi è morto. Oppure, ad ottobre del 2017, c’è stato il caso Franco Morabito, ergastolano, morto di tumore a 48 anni, con tutti gli organi in metastasi, nell’ospedale di Voghera a distanza di un mese dalla sospensione della pena. In carcere veniva curato per coliche renali.