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Vittoria, avvocati contro. C’è una frase strana, sorprendente ma notevole quanto meno per la sua assertività. È di un avvocato, che scrive di giustizia e attualità su un blog piuttosto noto nel mondo forense, “Rando Gurrieri”.
Il professionista, Alberto Pezzini, di Sanremo, interviene sulla tragedia dei due bimbi uccisi da Rosario Greco, il figlio del boss di Vittoria, in Sicilia: «Non difenderei mai, mai, un uomo che ammazza un bambino, ne decapita un altro e si allontana scappando, perché esiste un giustificato motivo che è la mia coscienza: questa secondo me», scandisce Pezzini, «è la vera indipendenza dell’avvocato, quella che caratterizza l’avvocatura» .
La funzione dell'avvocato. Una frase chiave che riflette il pensiero espresso sui social anche da (pochi) altri difensori. Una frase che, proprio nelle sue contraddizioni, dischiude in realtà la riflessione sul senso della funzione dell’avvocatura oggi in Italia. Persino sul suo riconoscimento costituzionale, urgente anche per sconfessare tesi come quella di Pezzini. Il quale si schiera col collega che dirige il sito, Pietro Gurrieri, risoluto a sua volta nel chiedere, a proposito dell’assassino di Vittoria, «che non ci sia un solo Collega sulla faccia della terra che lo assista nemmeno come difensore d’ufficio!».
L'onda d'odio. Insolito anatema, giacché si assimila all’ormai consueta onda d’odio dirottata, oltre che sulle persone accusate dei reati più mostruosi, anche in direzione dei loro legali.
Sulla “maledizione” invocata da Gurrieri e poi rilanciata da Pezzini, interviene l’Unione Camere penali, con una nota firmata dalla giunta e dall’osservatorio Difesa d’ufficio intitolato a Paola Rebecchi, la professionista autrice della riforma dell’istituto e rimasta uccisa nel 2016 proprio in un incidente stradale. Nell’intervento dell’Ucpi si nota come le dannazioni pronunciate su blog e social dell’avvocatura esprimano «(inaccettabili) accostamenti e sovrapposizioni tra il difensore, l’imputato e i fatti di cui quest’ultimo è chiamato a rispondere».
Il richiamo dell'Ucpi. L’associazione che rappresenta tutti i penalisti d’Italia non solo richiama i cardini «del diritto (e del dovere) di difesa», i presupposti della difesa d’ufficio sanciti nella Costituzione e nella legge professionale, ma è anche molto severa nello scorgere un «malcelato tentativo di acquisire consenso tra la pubblica opinione, particolarmente scossa in situazioni come questa» dietro la decisione di «cavalcare l’ondata emotiva che la notizia ha inevitabilmente determinato, affermando pubblicamente che certe persone neppure meriterebbero di essere difese».
Quale indipendenza? A colpire di più resta soprattutto quel richiamo alla «vera indipendenza dell’avvocato» formulato da uno dei professionisti, Pezzini, che si dichiarano indisponibili a difendere, anche d’ufficio, individui come lo scellerato automobilista che ha ucciso i due cuginetti, Alessio e Simone.
Quell’idea di «indipendenza» è tutta costruita attorno a una concezione libertaria e individualistica dell’attività del difensore. Pare priva di qualsiasi sentore del rilevo pubblico e sociale che l’avvocato assume nello svolgere la propria funzione. Un rilievo pubblico, e quindi costituzionale, acquisito proprio «nel difendere il diritto ad un processo giusto anche per l’ultimo degli imputati del più grave ed odioso crimine», come si legge nella magistrale nota dell’Ucpi.
Proprio nel difendere il più mostruoso degli assassini, infatti, «l’Avvocato d’ufficio è posto a tutela di diritti fondamentali che appartengono a tutti, perché non ammettono deroghe ed eccezioni», per citare ancora l’Ucpi. La sacralità del diritto di difesa, e la sua collocazione nell’architettura dello Stato di diritto, derivano proprio dall’impossibilità di subordinarlo a «deroghe ed eccezioni» .
Non un richiamo professorale, sussiegoso e glacialmente buonista alla deontologia. Ma una commovente evocazione, quella dell’Unione Camere penali, di un valore che è sacro proprio in quanto assoluto.
Nel documento della giunta dei penalisti e dell’osservatorio “Paola Rebecchi” c’è davvero il senso dell’avvocato in Costituzione. Di quel riconoscimento della necessaria «libertà e indipendenza» del difensore, oltre che della sua imprescindibilità.
Un riconoscimento sollecitato dal Cnf e condiviso dai capigruppo in Senato dei partiti dell’attuale maggioranza, Patuanelli e Molinari, co-firmatari del ddl depositato a Palazzo Madama. Un’affermazione di valori al più alto grado dell’ordinamento che fa chiarezza su quale sia il senso della «libertà» del difensore, anche di fronte a delitti mostruosi come quello di Vittoria.