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Troppi sono i detenuti che attendono di essere ricoverati o per visite specialistiche o per interventi chirurgici. L'attesa a volte è più lunga della pena. Una vera e propria emergenza sanitaria che coinvolgono diversi penitenziari. C’è il caso dei penitenziari campani, così come la questione del carcere della Dozza di Bologna dove c’è penuria di medici, o a Sulmona dove a fine marzo ( come in tutta Italia) vanno via gli Oss e l’organico sanitario rimane scoperto.
IL CASO EMBLEMATICO DELLA DOZZA DI BOLOGNA
Partiamo dalla questione bolognese, un caso emblematico. Non si trovano medici che vogliano assumere incarichi nel carcere. Il motivo principale è perché sono precari, li pagano poco e fanno turni pesanti. Accade quindi che tutta la mole di lavoro e soprattutto la responsabilità, cade sugli infermieri. Ciò ha provocato un grave episodio di disorganizzazione registrato fra il 19 e il 20 febbraio nella casa circondariale della Dozza: il penitenziario si è infatti ritrovato privo di personale medico per l’intero turno notturno, con la gestione di qualunque genere di emergenza sanitaria affidata esclusivamente al personale infermieristico in forza al carcere.
«Non è possibile ritrovarsi a lavorare in queste condizioni: la probabilità che nella notte fra sabato e domenica non ci fossero medici a disposizione era già stata prospettata da inizio settimana dalla direzione sanitaria, eppure, in tutti questi giorni, non è stato fatto nulla per cercare una soluzione - ha denunciato Antonella Rodigliano, segretaria territoriale del sindacato Nursind di Bologna -. L’unica comunicazione giunta è stata quella che, poche ore prima dell’inizio del turno, avvisava gli infermieri di dover affrontare la nottata da soli. Si tratta di una cosa gravissima». La situazione all'interno del carcere, come denuncia il sindacato, è al limite: i medici in organico sono appena sedici e la carenza di personale è evidente. Mai però si era giunti ad una situazione simile, con la totale assenza di una figura medica all'interno della struttura per un intero turno. Gli atti di autolesionismo da parte dei detenuti e le aggressioni al personale infermieristico sono spesso all'ordine del giorno alla Dozza, rendendo già di per sé complicato il servizio nella struttura. «Non si può continuare così», ha rimarcato quindi Rodigliano.
UN EPISODIO CHE È RICADUTO TUTTO SULLE SPALLE DEGLI INFERMIERI
Poco prima dell'inizio del turno fra il 19 e il 20 febbraio, gli infermieri in servizio nel carcere sono stati messi al corrente della situazione, senza nessuna possibilità di porvi rimedio o trovare delle altre soluzioni per tempo. Sono state invece fornite indicazioni operative straordinarie, come il potenziamento della continuità assistenziale della guardia medica in condizioni di necessità e la prassi da seguire in caso di nuovi accessi, dando per scontata la disponibilità degli infermieri ad accettare tutto quanto. «Chiaramente non ci tiriamo mai indietro perché siamo dei professionisti che amano il proprio lavoro e lo fanno sempre con grande passione e serietà – ha concluso la segretaria regionale del Nursind - ma non possiamo rischiare di ritrovarci di nuovo in una situazione del genere. È il momento che qualcuno si assuma le proprie responsabilità».
IN CAMPANIA L’ATTESA DI UNA VISITA PUÒ ESSERE PIÙ LUNGA DI UNA PENA
Veniamo ora al caso delle carceri campane. A segnalare l’emergenza è il garante regionale Samuele Ciambriello. In visita all'Ospedale Cardarelli di Napoli ha puntato l'attenzione sull'assistenza sanitaria a chi sconta una pena in carcere. «Al Cardarelli ci sono 12 posti – denuncia il garante-, oggi solo nove perché una stanza con tre posti è inutilizzabile. A Benevento, per volere della direzione sanitaria dell'Ospedale San Pio, non ci sono posti riservati ai detenuti. Perché solo così pochi posti? Tantissimi detenuti attendono di essere ricoverati o per visite specialistiche o per interventi chirurgici. L'attesa a volte è più lunga della pena. Nel pieno rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza e della tutela della salute, credo che la nostra società e le nostre Istituzioni non siano rispettose dei diritti umani dei detenuti».
Per il garante la riforma sanitaria in carcere è ancora una chimera: «Tarda ad avere piena e incondizionata applicazione. Tale diritto deve essere riconosciuto conciliabile e non contradditorio con le esigenze di sicurezza. L'irragionevole incertezza, a volte gelosie tra l'area sanitaria e le direzioni delle carceri sono un'afflizione aggiuntiva per i detenuti. Le aggravanti nelle carceri sono poi gli aumenti dei detenuti con un problema in più: quello mentale e quello delle tossicodipendenze».
A SULMONA SI RISCHIA IL COLLASSO PER MANCANZA DI OPERATORI SOCIO- SANITARI
C’è il caso del carcere abruzzese di Sulmona denunciato da Mauro Nardella, Segretario generale territoriale della Uilpa polizia penitenziaria. In sostanza, non solo carenza di medici ma anche di Operatori socio sanitari ( Oss) dietro le sbarre. Per questo la Uil non esulta sulla fine dell’emergenza pandemica fissata per il prossimo 31 marzo. Alla precarietà dei sanitari ( 4 in servizio sui 7 previsti in organico), si aggiungerà, a partire dal 31 marzo, quella degli Oss ( operatori socio sanitari) che, durante la pandemia, sono stati fondamentali nell’evitare il collasso del sistema dietro le sbarre.
«Con il venire meno dello stato di emergenza gli Oss non sarebbero più contemplati dalla Protezione civile e quindi non più utilizzabili in carcere – scrive Nardella -. La sanità abruzzese non può non farsi carico di questo potenziale e pericoloso scenario futuro. Per questo motivo la Uil invita l’assessore alla sanità Nicoletta Veri e tutta la dirigenza Asl a farsi carico della situazione e a porvi subito rimedio». Il sindacalista offre dei suggerimenti: «A tal proposito può essere utile invitare loro a destinare, con le modalità che la Asl saprà adottare, un’aliquota degli Oss facendo permanere le unità attuali impegnate in loco e che ben sanno cosa fare per continuare a soddisfare le esigenze dell’Amministrazione. Il tutto, nelle more dell’espletamento della procedura concorsuale aggregata ( in corso di svolgimento) per le Asl di Teramo, Lanciano- Vasto- Chieti e Avezzano- Sulmona- L’Aquila gestita dalla Asl di Teramo dalla quale sarebbe auspicabile l’assegnazione di unità presso gli istituti di pena di Sulmona ( 4 per 420 detenuti), L’Aquila ( 3 per 200 detenuti) ed Avezzano ( 2 per 60 detenuti)».
Il problema sanitario è evidente e deve interessare soprattutto il ministro della Salute Roberto Speranza. Ricordiamo che dal primo aprile 2008 la salute delle persone detenute è divenuta formalmente una competenza del Servizio sanitario nazionale e si è venuta così a sanare una delle tante anomalie normative che riguardano la gestione della vita penitenziaria. Calandoci sul piano del diritto vivente, tuttavia, questa anomalia è stata adeguatamente superata esclusivamente sul piano formale. Nella materialità della detenzione permangono le criticità che ostacolano una piena affermazione dell’equivalenza delle cure, principio cardine della riforma stessa. Il trasferimento del personale, strumentazioni e responsabilità alle Aziende sanitarie locali è stato generalmente vissuto come un ulteriore “peso” scaricato sulle spalle già fragile della sanità regionale ( e dei suoi bilanci). Non a caso, come detto inizialmente, c’è il discorso della precarietà che coinvolgono anche i medici, difficilmente disposti a sacrificare la loro vita per pochi soldi rispetto ai colleghi che lavorano nel mondo libero. Ma non solo. La difficoltà principale è quella di riuscire a valutare la questione sanità penitenziaria da un punto di vista nazionale e quindi si creano forti disparità tra territori. Accade nel mondo libero, ma nel carcere tutto si amplifica.