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Forse un giorno, molto lontano, si dovrà riscrivere da capo la storia delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, ma anche di come agirono taluni pentiti, rispetto sia alla conduzione delle indagini sia alla possibilità di arrivare ai latitanti. Uno per tutti: Matteo Messina Denaro. Attualmente sotto processo a Caltanissetta quale possibile mandante (non l’unico) delle stragi.
Dopo la vicenda del falso pentito Scarantino, per ipotesi della procura generale di Catania, sta emergendo un altro probabile depistaggio ad opera di un altro pentito, tale Vincenzo Calcara. Addirittura più grave, secondo Giuseppe Ciminnisi, coordinatore nazionale Familiari vittime innocenti di mafia dell’associazione “I Cittadini contro le mafie e la corruzione”.
Cosa sta emergendo? Il colpo di scena è arrivato giovedì scorso a Catania per la revisione del processo che portò l’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, ad essere condannato per traffico di droga, a seguito delle accuse formulate a suo carico dall’ex pentito Calcara. Quest’ultimo, spiega Ciminnisi in un comunicato, «aveva accusato l’ex sindaco di essere a capo della famiglia mafiosa di Castelvetrano e di aver chiesto all’ex pentito di prepararsi a uccidere il giudice Paolo Borsellino utilizzando un fucile di precisione. Fatti per i quali Vaccarino venne arrestato nel 1992 a seguito della cosiddetta ‘ Operazione Palma’ e successivamente assolto».
Per capire meglio i fatti, bisogna rispolverare le accuse fatte da Calcara. «Fu Francesco Messina Denaro, defunto padre di Matteo, a darmi l’incarico di uccidere, nel 1991, l’allora procuratore di Marsala Paolo Borsellino. Un incarico del quale io, inizialmente, ero orgoglioso. Ero una testa calda, allora, latitante da un anno e mezzo, ma quando Vaccarino mi disse che poi sarei dovuto fuggire in Australia e su un biglietto mi scrisse a chi dovevo rivolgermi laggiù, mi è scattato qualcosa dentro…», così ha raccontato il pentito, le cui dichiarazioni, nel maggio del ’ 92, condussero all’arresto dell’ex sindaco Vaccarino.
Dopo essere stato arrestato nell’operazione “Palma”, Vaccarino fu condannato dal Tribunale di Marsala a 16 anni di carcere per associazione mafiosa e droga. Ma in appello, nel 1997, gli hanno riformato la prima sentenza, ristabilendo la pena in sei anni e sei mesi di reclusione e 21 milioni di lire, assolvendolo dal reato di mafia. Vaccarino, sempre proclamatosi innocente, ha scontato una parte della sua pena nel carcere di Pianosa dove ha dichiarato di subire torture e sevizie. Oggi chiede la revisione della condanna, assistito dagli avvocati Baldassare Lauria, Giovanna Angelo e Laura Ancona. La richiesta di revisione si fonda su una serie di prove che, per i legali, dimostrerebbero come l’unico pentito accusatore, Calcara, abbia reso dichiarazioni false, per accreditarsi quale collaboratore.
Nel corso dell’udienza di giovedì, la Procura generale, oltre a chiedere l’annullamento di quella sentenza ritenendo Calcara assolutamente inattendibile – così come sostenuto da altri magistrati in diverse sedi - avrebbe fatto riferimento a un vero e proprio depistaggio messo in atto dal pentito. «Un’affermazione – denuncia Ciminnisi - che prospetta inquietanti scenari in merito alle ragioni che nell’autunno del 1991 portarono Calcara a collaborare con la giustizia.
Infatti, mentre Calcara in quel periodo muoveva accuse nei confronti di soggetti rivelatisi poi estranei alla consorteria mafiosa, l’attuale boss latitante Matteo Messina Denaro, a Castelvetrano incontrava i vertici di “Cosa nostra” per organizzare le stragi del 1992, nel corso delle quali vennero uccisi Falcone e Borsellino». Se dovessero essere confermate le accuse della Procura generale di depistaggio, la storia sarebbe davvero da riscrivere e si prospetterebbero scenari inquietanti.
«Ci troveremmo – spiega Ciminnisi - dinanzi a un fatto ben più grave di quello di Scarantino e delle sue dichiarazioni su Via D’Amelio». Perché? «Mentre le false dichiarazioni di Scarantino servirono a indirizzare le indagini in direzione diversa rispetto ai veri responsabili dell’attentato, quelle di Calcara - se dimostrato quanto sostenuto dalla Procura - distogliendo l’attenzione da Matteo Messina Denaro, permettendogli di agire indisturbato, sarebbero state funzionali al compimento della strage».