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Una buona legge. Nata con una manciata di articoli. E una norma chiave: il pm ha l’obbligo di ascoltare nel giro di 72 ore chi denuncia reati tipici della violenza di genere, a cominciare dai maltrattamenti in famiglia. Poi tra Lega e cinquestelle c’è stata una certa corsa a chi “caratterizzava” di più il ddl sul “Codice rosso”. E così il testo che oggi torna all’esame di Montecitorio, per ottenere il sì entro questa settimana, è diventato un calderone complicato e con troppe iperboli. Soprattutto sull’innalzamento delle pene per i reati di violenza sessuale.
La legge voluta dai ministri Giulia Bongiorno e Alfonso Bonafede rischia così anche di far declinare in senso negativo il giudizio degli avvocati. Eppure Cnf, Ocf e Unione Camere penali avevano messo in guardia già a fine febbraio i deputati della commissione Giustizia dal rischio di sovrapporre inutili ridondanze agli aspetti positivi.
Va detto che alcune delle ipotesi discusse in sede referente sono state accantonate, anche in linea con i risultati delle audizioni. Soprattutto riguardo ad alcune ulteriori fattispecie che il Movimento cinque stelle avrebbe voluto introdurre. Tra queste, un reato che escludeva dai casi di violenza sessuale di «minore gravità» - in modo da punirli più severamente - quelli in cui «l’atto importi il contatto con l'organo sessuale senza l'interposizione degli indumenti». Una norma che avrebbe evidentemente tradito il principio di genericità, e che non a caso era stata contestata dai penalisti, rappresentati in audizione dalla componente della giunta Ucpi Paolo Savio. Dal testo che oggi torna in aula è scomparsa anche la troppo generica formulazione del reato di «molestie sessuali» , pure criticato dagli avvocati. Resta però all’articolo 7 del provvedimento il reato di “deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”. Un modo per punire con particolare severità orrori come lo sfiguramento con l’acido subìto da Lucia Annibali, ora deputata Pd e componente proprio della commissione Giustizia. Le condanne arriveranno fino a 14 anni: «Ma c’è il reato di lesioni aggravate che già può determinare pene molto alte», aveva fatto notare Savio.
I rappresentanti di istituzioni e associazioni forensi non hanno ancora avuto modo di esprimersi su alcuni interventi presentati in conferenza stampa dallo stesso guardasigilli Alfonso Bonafede, come quello che eviterebbe «la discrezionalità nel bilanciamento delle attenuanti e delle aggravanti». Ipotesi dalle conseguenze pesanti per l’equilibrio del sistema. Rischio che vale in modo esponenziale per l’ipotesi di concedere gli sconti di pena ai condannati per violenza sessuale solo se accettano di sottoporsi alla castrazione chimica ( a cui si fa cenno in altro servizio della pagina, ndr). In generale non sembra ispirata ai principi cardine dell’ordinamento una dichiarazione come quella di Stefania Ascari, la deputata m5s che per prima aveva proposto le norme inserite nel ddl governativo in corso d’opera: «Il messaggio dev’essere chiaro: nessuna pietà e nessuna giustificazione». Ma è anche vero che altre parti della legge sono in chiaro scuro non tanto per le intenzioni, condivisibili, quanto per l’incertezza sulle risorse. È il caso dell’articolo 4 sulla “formazione degli operatori di polizia”: «Giustissimo», dice Savio, «ma con l’invarianza finanziaria rischia di essere un’idea inapplicata».
Ci sono ancora altri aspetti, più vicini alla struttura originaria del disegno di legge, sui quali c’è stata una sollecitazione positiva del Cf, rappresentato in audizione dall’attuale vicepresidente Maria Masi. Innanzitutto la «tempestività» delle indagini, salutata come un necessario adeguamento alla direttiva europea chiave in materia, la 29 del 2012. Il documento del Cnf aveva anche visto «con favore» gli obblighi introdotti «per il giudice penale», quando sono in corso procedimenti civili di separazione dei coniugi, cause relative all’affidamento di minori o alla responsabilità genitoriale, di «trasmettere senza ritardo al giudice civile i provvedimenti adottati nei confronti di una delle parti, relativi ai delitti di violenza domestica o di genere». Così come Masi aveva ricordato la necessità di tutelare il «diritto della vittima a ricevere una serie di informazioni», soprattutto in materia di misure cautelari adottate o revocate nei confronti del coniuge o convivente violento. Meccanismi effettivamente affinati grazie al testo. Che avrebbe potuto essere più efficace ed equilibrato con qualche eccesso sanzionatorio in meno.