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Palamara
Non tutte le sentenze della Corte di Strasburgo sarebbero vincolanti per l’ordinamento italiano. E anche per quelle eventualmente vincolanti serve fare una attenta valutazione. Lo scrive la Procura generale della Cassazione in una memoria di circa novanta pagine depositata ieri al Consiglio superiore della magistratura durante l’udienza del procedimento disciplinare a carico di Cosimo Ferri.
Il deputato di Italia viva, che da magistrato è stato lo storico di Magistratura indipendente, la corrente moderata delle toghe, è accusato di aver tenuto un comportamento “gravemente scorretto” nei confronti dei colleghi che concorrevano per il posto di procuratore di Roma e nei confronti dei consiglieri di Palazzo dei Marescialli, finalizzato a “condizionare le funzioni attribuite dalla Costituzione all’organo di governo autonomo della magistratura”. Il difensore di Ferri, l’avvocato Luigi Panella, nelle scorse udienze, aveva sollevato il caso della inutilizzabilità, in un procedimento disciplinare, delle intercettazioni disposte in processo penale. Alla base delle contestazioni a Ferri vi sono, infatti, le intercettazioni effettuate con il trojan inoculato nel cellulare dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara durante la cena all’hotel Champagne dell’ 8 maggio 2019.
La difesa Ferri aveva citato diverse sentenze di Strasburgo, come quella 9 marzo 2021 “Eminagaoglu” riguardante la Turchia. Ma appunto, secondo la Procura generale, che nel procedimento aperto su Ferri è titolare dell’azione, tale pronuncia non è vincolante per la giurisdizione nazionale in quanto non sono provenienti “dalla Grande Camera ma dalla Seconda sezione della Corte di Strasburgo”. Non si tratterebbe dunque di “sentenze pilota: non rappresentano un diritto consolidato, trattandosi di precedenti che riguardano la Turchia che, come sappiamo, non rappresenta un modello tranquillante di democrazia e di rispetto della separazione dei poteri dello Stato”, afferma l’avvocato generale Piero Gaeta che rappresenta l’accusa.
Sul punto vale la pena ricordare che fino al 2016 l’Italia era saldamente al quarto posto, dopo Ucraina, Russia e Ungheria, e prima della Turchia, fra i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa in tema di contenzioso. II “sorpasso” della Turchia ai danni dell’Italia è avvenuto dopo gli interventi normativi seguiti al fallito golpe del 15 luglio del 2016. Circostanza questa, non il “sorpasso”, ricordata dalla Procura generale.
La Corte costituzionale, comunque, avrebbe messo con una sentenza del 2015 dei paletti circa gli effetti nel diritto nazionale di tali pronunce. Resterebbe, allora, valido il principio della piena utilizzabilità non in contrasto con l’articolo 8 della Cedu. La difesa di Ferri, comunque, ha prodotto anche un’altra sentenza, questa invece della Grande Camera. Il caso aveva riguardato un procedimento penale condotto in Estonia e conclusosi con una condanna a due anni per furto e utilizzo indebito di carta di credito. La Corte di Cassazione estone si era posta il problema del rispetto dell’articolo 5 della direttiva 2002/ 58 dal titolo “Riservatezza delle comunicazioni”.
Anche per l’autorizzazione all’utilizzo dei dati si deve circoscrivere la procedura ad attività aventi “per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, e ciò indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l’accesso ai dati suddetti viene richiesto, nonché dalla quantità o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo”. In estrema sintesi, le intercettazioni telefoniche o con il trojan possano essere utilizzate soltanto per reati gravi e non per illeciti amministrativi o disciplinari, come nel caso di Ferri. Ma anche in tale ipotesi per la Procura generale gli ascolti sarebbero utilizzabili. A tal proposito è stata citata la cosiddetta “teoria dell'atto chiaro” per la quale un giudice nazionale non deve operare il rinvio qualora il contenuto della norma comunitaria che si intende applicare si ponga agli occhi dell’interprete con una tale evidenza da non lasciar spazio ad alcun ragionevole dubbio.
Il collegio, presieduto dal laico pentastellato Filippo Donati si è riservato. Prossima udienza il 14 maggio.