PHOTO
Le parole della presidente del Consiglio nazionale forense Maria Masi intervengono in un periodo delicato per il sistema giustizia, tutt’ora sottoposto a pressioni costanti, a causa dell’emergenza sanitaria. A proemio del discorso inaugurale, la presidente Masi ripropone la domanda già avanzata a inizio 2020, domanda per certi aspetti retorica, non potendo attendere nessun’altra risposta se non di segno positivo: si chiede se l’esercizio della giurisdizione è, a maggior ragione oggi, atte le estreme difficoltà derivanti dalla pandemia, pienamente orientato al rispetto della Costituzione. Inefficienza di tribunali, corruzione nei palazzi di giustizia, attacchi al corpo togato e magistratura in politica, lentezza dei procedimenti, rendono la risposta tutt’altro che scontata e retorica come si affermava poc’anzi. Le catastrofiche premesse non sono frutto di un cieco pessimismo, ma intendono ingenerare la consapevolezza che è solo dalle crisi e dalle difficoltà che si possono trarre preziose occasioni per migliorare. L'auspicio più immediato è che lo stress sofferto dal sistema giudiziario sia appunto occasione per migliorarlo. Non è utopistico. Il legislatore - come evidenzia la presidente del Cnf nel suo discorso - tende ad adottare approcci semplicistici che si limitano a tamponare problemi endemici nel breve periodo, ma che sono inevitabilmente destinati a mostrare tutti i loro limiti nel lungo. Quello di Masi, tramite la domanda inizialmente posta, è dunque un invito a riflettere sullo stato attuale della giurisdizione, in ordine all’esigenza di riflettere ed eventualmente individuare soluzioni in grado di garantire la tutela dell’assetto costituzionale, nonostante il periodo di crisi. La lentezza che affligge il sistema viene affrontata dal legislatore in un’ottica di “mero efficientismo”, avverte la presidente dell'istituzione forense. È necessario rendersi conto che intervenire su meri aspetti procedurali, per tentare di velocizzare le decisioni, è un metodo che comporta necessariamente il sacrificio di interessi sostanziali, i quali rimangono inevitabilmente schiacciati. L’asettico e matematico approccio che tende a “giocare” sui codici di rito comporta un’evidente lesione della tutela giurisdizionale, la quale viene sempre più sacrificata in favore dell'efficientismo, in modo da mascherare carenze di organico. Basterebbe così poco: nel penale, ad esempio, centralità all’udienza preliminare, oggi declassata a mero calendario del grado successivo. Nel discorso si evidenzia come, per un completo rispetto della tutela delle parti, fondamentali risultano gli investimenti in risorse umane, strutturali e infrastrutturali, investimenti da troppo tempo procrastinati, ma che la crisi pandemica ha reso più che mai necessari, al fine di garantire un esercizio della giurisdizione che sia anche conforme al dettato costituzionale. A titolo di compendio sia sufficiente pensare che spesso gli stessi procuratori, proprio per riuscire a seguire le innumerevoli cause portate alla loro attenzione, sono costretti a chiedere sostituzioni in sede di udienza, con il paradossale effetto che, se il giudice è precostituito per legge, spesso invece la parte che ha il delicato compito di indagare, finisce per non avere la piena contezza degli atti processuali, con grave danno per imputati e indagati. Insomma, “il cuore della Giustizia è la persona, non l’efficientismo” e bene fa la presidente del Consiglio nazionale forense a ribadirlo con forza nel discorso cerimoniale di inaugurazione dell’anno giudiziario, in quanto solo un organico adeguato permette all’intero sistema di trattare le vicende umane che transitano, anche a lungo, nelle Corti di Giustizia con l'attenzione che meritano, nel pieno e auspicato rispetto dei principi costituzionali. In ultimo, su queste pagine già si commentava in un recente articolo come la stessa Corte costituzionale, con la sentenza del 18 novembre 2020 numero 278, abbia accettato di sacrificare un diritto un tempo ritenuto immutabile, qual è il principio di legalità in ambito penale, ammettendo la retroattività di leggi che vanno a modificare i termini di prescrizione, al fine di salvare un decreto legge nato per affrontare la diffusione del contagio. Quanto si è esposto sono gli evidenti sintomi di un malessere perpetuo su cui ancora il legislatore, per ragioni di mero carattere economico, non è intervenuto, dimenticando, tuttavia, che la salute di un sistema giudiziario risulta funzionale alla vita economica di un Paese. Sarebbe dunque augurabile che la domanda posta dalla presidente del Consiglio nazionale forense fosse la base di un percorso di investimenti in ambito giudiziario, investimenti che, seppur così spesso auspicati, rimangono da tempo disattesi. *Direttore dell'Ispeg - Istituto per gli studi politici, economici e giuridici