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Carcere di Parma
Il carcere di Parma è una casa di reclusione che al suo interno è suddivisa in quattro strutture: una per i detenuti in alta sicurezza (AS3), un’altra per i detenuti comuni di media sicurezza, un’altra ancora per l’alta sicurezza per gli ex 41 bis (AS1) e infine il 41 bis. Oggi risultano 14 detenuti positivi al covid, 10 solo al 41 bis. Fortunatamente non hanno condizioni preoccupanti. A prescindere dall’emergenza covid, la questione sanitaria è in difficoltà. Il centro clinico del carcere di Parma - adibito per un massimo di 29 posti – è diventato un punto di riferimento anche per gli altri penitenziari: inviano i loro detenuti (anche comuni) malati che, una volta superata la fase diagnostica, rimangono però nel carcere. Il risultato è quello denunciato dalla relazione della Asl che Il Dubbio ha reso pubblico oggi: 220 persone malate e con età avanzata, per la maggior parte allocate presso le Sezioni Ordinarie comprensibilmente inadeguate per la loro assistenza. Questo fa il paio con l’altro documento, sempre reso pubblico da Il Dubbio, che uscì nel pieno della prima ondata. Vale la pena ricordarlo, anche perché - paragonato con la relazione attuale – sembrerebbe che la situazione sia rimasta invariata. Il centro clinico del carcere di Parma ospita detenuti con trapianti, immunodepressi, diabetici scompensati, carcinomi, lesioni ossee. A tutto questo si aggiunge un altro elemento critico. «Preme segnalare – si legge nel documento risalente a marzo del 2020 – che sono state disposte allocazioni inappropriate direttamente dall’amministrazione penitenziaria, senza alcuna certificazione o parere medico». Non solo. La Asl parte dal presupposto che il centro clinico – secondo l’accordo Stato-Regioni del 2015 – ospita in ambienti penitenziari detenuti che, per situazioni di rischio sanitario, possono richiedere un maggiore e più specifico intervento clinico non effettuabili nelle sezioni comuni, restando comunque candidabili per una misura alternativa o per il differimento o la sospensione della pena per motivi di salute. Quindi l’inserimento in tali strutture risponde a valutazioni strettamente sanitarie e il venir meno delle motivazioni cliniche che giustificano la presenza nel centro clinico, dovrebbero essere sufficienti di per sé a portare la direzione degli Istituti penitenziari alla tempestiva ritraduzione del paziente all’istituto di provenienza. Invece accadrebbe il contrario. È stato preso in considerazione ciò che si denunciava già a marzo del 2020?