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Sono due magistrati. Il primo, Piercamillo Davigo, è da due mesi il nuovo presidente dellAnm. Il secondo, Sebastiano Ardita, fa il procuratore aggiunto a Messina e scrive libri di successo. Si sono ritrovati nel gruppo staccatosi da Magistratura Indipendente tradizionale corrente di destra e battezzato Autonomia & Indipemdenza. Hanno posizioni culturali ovviamente affini e firmano insieme il saggio che compare sul numero di Micro Mega uscito ieri: Glossario minimo di una giustizia senza aggettivi. Leggerlo aiuta a capire molte cose. Sul futuro dellAnm e della magistratura.Le nove pagine dellintervento sono tutte un continuo ritorno sullo stesso tema: la politica come controparte inaffidabile che va perseguita con priorità. È il concetto di fondo, che giustifica anche la teorizzata (dai due autori) convergenza del garantismo e del giustizialismo verso lo stesso fine: mettere tutti i cittadini in condizioni di uguaglianza davanti alla legge proprio attraverso la particolare attenzione nel perseguire i potenti. La stessa idea torna quando Davigo e Ardita si lamentano del modesto numero di colletti bianchi condannati alla galera: «Le statistiche sugli autori di reati finanziari presenti in carcere parlano chiaro: in Italia lo 0,6 per cento circa della popolazione carceraria, negli altri Paesi europei il 5,9 per cento». E si va a finire sempre lì quando, a fine saggio, si afferma che la certezza della pena vale per i «soggetti che delinquono per disadattamento sociale» e non per chi, con la cattiva politica, alimenta quel «disagio».Luso della giustizia a fini politici? È la democrazia...Un attacco frontale al sistema della rappresentanza, ai partiti, alla politica come oggi la conosciamo. È una forma di grillismo in toga. Che già era emersa dallintervista rilasciata da Davigo al Corriere un mese e mezzo fa, ma che fa più effetto se teorizzata su una rivista culturale. Davigo e Ardita non si trattengono, non cercano perifrasi. Enunciano luso della giustizia a fini politici nel seguente passaggio: «La tesi suggestiva, sostenuta da alcuni politici e pochi organi di informazione, è che lattività dei magistrati possa essere orientata da finalità diverse dalla semplice ricerca della verità, quando si risolve in indagini a carico di chi ha responsabilità di governo»; tesi suggestiva che non confligge necessariamente con la realtà, tanto che secondo i due autori «si tratta di situazioni che di per sé non denotano affatto uno scontro (tra politica e magistratura, ndr) , ma provano anzi che siamo in democrazia». Il fine politico è implicito in alcune azioni giudiziarie in quanto ricerca di una giustizia che assicuri anche il rispetto dei principi di democrazia. Perfetto.Dove vuole arrivare Davigo? Allegemonia tra le correnti della magistratura. Punta al successo, al consenso interno. In parte lha già ottenuto: la sua Autonomia & Indipendenza ha riportato uno score eccellente alle elezioni dellAnm, considerato che esiste da poco più di un anno. Tanto che lui, Davigo, leader della neonata corrente, è stato indicato subito al vertice del sindacato dei giudici. La popolarità si spiega con una spinta sindacale nuova, che proviene dalla base della magistratura e soprattutto dalle ultime generazioni. Cè meno idealismo e più richiesta di protezione sindacale, di tutela dagli eccessivi carichi di lavoro e dalle insidie della responsabilità civile. Meno attenzione alle culture di autogoverno, a cui si ispirano le correnti tradizionali, e prevalere di un interesse individualistico e pragmatico, da funzionari dello Stato sindacalizzati e diffidenti. Votano per Davigo, questi magistrati spesso giovani e deideologizzati, perché trovano nellattacco alla politica una forma di autotutela collettiva.Il punto è che Autonomia & Indipendenza e il suo leader non sono mossi solo da questo, ma da un intreccio tra rivendicazioni e sinceri sentimenti antipolitici di destra. Un populismo giudiziario riferibile alla ricerca del consenso tra i giudici prima ancora che alla popolarità delle inchieste. Ma che in prospettiva può intrecciarsi con culture antisistema più propriamente politiche. Di destra più che di sinistra. Difficile dire se si tratti di un motivo di allarme, senzaltro è un fatto nuovo nel dibattito sulla giustizia e in generale sulla struttura del potere.Davigo e Ardita non tralasciano nulla. Se la prendono con lomicidio stradale («continuiamo a navigare a vista in un sistema che vede il Parlamento produrre nuove ipotesi di reato»), con gli stessi colleghi procuratori che cercano di limitare il luso delle intercettazioni a quelle penalmente rilevanti («non ha senso agire in modo restrittivo») e pur implicitamente con gli avvocati.La prescrizione, male che viene dallavvocaturaQuesti ultimi sono i veri responsabili del male profondo, le troppe prescrizioni. Lestinzione del reato «può diventare un obiettivo della difesa e il suo raggiungimento può stravolgere il senso delle scelte processuali». Nulla sulle colpe che a riguardo hanno i magistrati, e gli inquirenti in particolare. A proposito del fatto che la maggior parte delle prescrizioni interviene durante la fase delle indagini, il saggio su MicroMega se la cava con astuta nonchalance: «Nei reati edilizi e in quelli contro la pubblica amministrazione, ad esempio, spesso si viene a conoscenza dei fatti di reato dopo anni. Se è così», scrivono Davigo e Ardita, «è evidente che non ci sarà il tempo di avviare liter processuale, ed è corretto che in questa prospettiva siano archiviati in fase di indagini». Non una parola sul fatto che un procuratore dovrebbe sapere in anticipo se cè tempo di condurre in porto in procedimento. E che se lo avvia lo stesso nonostante la prescrizione sia alle porte, lo fa solo per celebrare la versione mediatica, di quel processo.La privacy vale sempre meno di un possibile alibiMa la lama più affilata è tenuta da parte per i politici che si lamentano della pubblicazione di telefonate private: se tra le registrazioni, scrivono gli autori, ce ne fossero alcune «da cui emerge che limputato si è intrattenuto con una prostituta o con un transessuale, il pm non può autonomamente decidere di non depositarle», perché «la difesa, proprio da quelle intercettazioni, potrebbe trarre lalibi indispensabile al proprio assistito». Al di là del tratto da populista di destra, quello che rasserena di Davigo è senza dubbio il suo sense of humor.