Una notte che avrebbe dovuto concludersi con un intervento di soccorso si è trasformata in una tragedia irrisolta. Igor Squeo, 33 anni, milanese, è morto dopo essere stato immobilizzato dalla polizia in circostanze ancora avvolte nel mistero. La sua vicenda, oggi al centro di un’interrogazione parlamentare del deputato Marco Grimaldi (Avs), riaccende i riflettori su pratiche di fermo che ricordano da vicino la morte di George Floyd a Minneapolis nel 2020.

Un parallelo agghiacciante, tra compressioni toraciche, omissioni istituzionali e una madre in cerca di giustizia.

Tutto inizia all’una del 12 giugno 2022, a Milano, quando il coinquilino di Squeo, allarmato dal suo stato di agitazione, chiama la polizia. Gli agenti, giunti sul posto, dichiarano di averlo ammanettato e messo in posizione laterale di sicurezza, una procedura standard per prevenire rischi di asfissia. Ma la versione degli operatori sanitari, intervenuti successivamente, è diametralmente opposta: Squeo era prono a terra, con il torace compresso da un agente. Nonostante una crisi respiratoria già in atto, gli viene somministrato il Propofol, un potente sedativo utilizzato in anestesia generale. Due minuti dopo, il primo arresto cardiaco. Alle 6: 45, Igor muore. A chiamare Franca Pisano, madre di Squeo, furono i sanitari del policlinico di Via Francesco Sforza, dicendole che il figlio era morto a causa di un arresto cardiaco: «L’ho visto sdraiato su quel letto, pieno di lividi e ferite, il corpo fasciato. Nessuno che mi spiegasse, ‘ overdose da cocaina’, dissero, per loro finiva lì».

Il pubblico ministero aveva inizialmente chiesto l’archiviazione, attribuendo il decesso alla cocaina assunta da Squeo almeno cinque ore prima. Ma il gip ha respinto la richiesta, ordinando nuove indagini. Ma si può liquidare il tutto con la droga? Luigi Manconi, presidente dell’associazione A Buon Diritto, da anni in prima linea contro gli abusi delle forze dell’ordine, tuona: «La combinazione della cosiddetta manovra Floyd, quindi della compressione del torace, e la somministrazione di un anestetico prima del quale non è chiaro se l’uomo fosse stato monitorato avendo già crisi respiratorie in atto, sono elementi critici che devono essere approfonditi per restituire la verità su quella notte e su questa morte!».

A scuotere il caso in parlamento, come detto, arriva l’interrogazione presentata da Grimaldi, che punta il dito sulle linee guida disattese. Nel 2014, una circolare dei Carabinieri (n. 1168/ 4831- 1993) vietava esplicitamente le immobilizzazioni a terra in posizione prona, definendole un rischio di “asfissia posturale”.

Ma nel 2016, quel documento fu sostituito da una nuova circolare (n. 1168/ 483- 1- 1993), che eliminò molte delle garanzie precedenti. Il deputato chiede di ripristinare quelle norme. L’interrogazione, rivolta al ministero della difesa, chiede «se non si ritenga opportuno ripristinare quanto previsto dalla circolare n. 1168/ 483- 1- 1993, vietando espressamente negli interventi operativi la cosiddetta manovra Floyd o, comunque, qualsiasi forma di compressione toracica».

Il paragone di questa vicenda con quella di George Floyd è inevitabile. La condanna dell’agente Derek Chauvin aveva dimostrato che fu la pressione sul collo, non la droga nel sangue, a uccidere Floyd. Eppure, in Italia come negli USA, pare che queste tecniche siano permesse.