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Presunte vessazioni e sfruttamento nel carcere catanese di Bicocca, ferie e riposi non concessi ai detenuti lavoranti, in particolar modo nei confronti degli stranieri. Addirittura i detenuti sarebbero stati costretti a svolgere mansioni diverse rispetto al lavoro per cui erano pagati e, in particolare, venivano mandati a pulire le camere del comandante. Questo e altro ancora si può leggere nel dossier consegnato a Rita Bernardini del Partito Radicale e Sergio D’Elia, presidente di Nessuno Tocchi Caino.
A compiere questa coraggiosa denuncia è Salvatore Morando, un agente della polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Bicocca. «Li facevano lavorare quasi sempre in nero – spiega l’agente penitenziario a Il Dubbio, - senza riposo e addirittura non potevano neppure avere il tempo di lavarsi gli abiti». Morando dice di averlo appreso parlando con loro. «Ho controllato i registri per scrupolo racconta l’agente -, e ho visto che effettivamente avevano ragione». Morando prontamente aveva fatto un rapporto al Direttore del carcere. «Il comandante però non era d’accordo, - spiega l’agente -, contestandomi di fare l’avvocato dei detenuti». Lui non ci sta e reagisce a questa affermazione: «Io sono pagato dallo Stato, non dal comandante e mi sento di difendere chi non può farlo da solo e chi non ha voce: indosso una divisa per dare garanzie a chi è dentro e a chi è fuori, proteggendoli».
In seguito al suo esposto alla Procura di Catania c’è stato un procedimento giudiziario, ma ora rischia l’archiviazione.
Lo scorso 6 dicembre, infatti, si è svolta l’udienza davanti il Gip di Catania che doveva decidere sulla richiesta di archiviazione presentata dalla Procura in relazione all’esposto presentato il 9 maggio dell’anno scorso nei confronti del Comandante dell’Istituto e del suo Vice. La motivazione dell’esposto riguardava, appunto, condotte che gli indagati avrebbero tenuto nei confronti di alcuni detenuti per essere stati irregolarmente impiegati nelle mansioni di pulizia e manutenzione dell’Istituto, al di fuori dei termini dell’ordine di servizio, e in particolare, senza il rispetto del loro diritto di fruire dei giorni di riposo garantitegli dall’art. 20 dell’ordinamento penitenziario. Il Pm, ricevuta la notizia di reato, aveva iscritto il procedimento e rinvenuto i reati di abuso d’ufficio, omissione d’atti ufficio, ma anche maltrattamenti e abuso di autorità contro i detenuti: gli episodi che l’Assistente Capo Morandi ha elencato sono riassunti non solo nella sua denuncia, che fece a sua firma, ma anche nelle sommarie informazioni di testimone che rese innanzi al Pm il successivo 25 gennaio 2018, quando segnalava che i detenuti cosiddetti “sconsegnati” – nel gergo carcerario ci si riferisce a coloro che possono occuparsi dei lavori di ordinaria manutenzione del carcere senza essere controllati dagli agenti – , spesso, anziché come doveva essere previsto dall’ordine di servizio, erano invece impiegati per mansioni ulteriori e diverse da quelle che avrebbero dovuto svolgere. Morandi precisa nel suo esposto che i detenuti in questione erano praticamente quasi tutti extracomunitari.
Attraverso le sommarie informazioni rese nel corso delle indagini agli inquirenti, l’agente penitenziario denuncia tra le altre cose: «Ho assistito a diversi episodi in cui l’Ispettore Capo, all’epoca Vice Comandante, e Comandante facente funzioni, urlava contro i detenuti extracomunitari impartendo disposizioni inerenti al lavoro che stavano facendo, a mio avviso senza motivo e in modo del tutto sproporzionato rispetto a quelle che potevano essere le eventuali mancanze. Devo dire che non ho mai assistito ad episodi analoghi nei confronti di detenuti in regime di Alta Sicurezza».
All’udienza del 6 dicembre, Morando con il suo legale, l’avvocato Salvatore Napoli di Enna, ha quindi rappresentato le sue argomentazioni a sostegno dell’opposizione presentata contro la richiesta di archiviazione che la Pm Tasciotti ha trasmesso al Gip. Così scrive l’accusa a sostegno della sua valutazione di non perseguire i denunciati: «Veniva disposta l’acquisizione dei registri relativi alle giornate di lavoro dei detenuti ammessi a tale regime, da cui emergeva che effettivamente alcuni di essi non avevano fruito del riposo settimanale per periodi di tempo di durata variabile ( da 10 giorni a circa due mesi)», con ciò confermando le denunce di Morando in merito alle violazioni delle norme che impongono il rispetto del diritto al riposo e di quello alla adeguata retribuzione del detenuto. Non solo, lo stesso Pubblico ministero conferma che, dalla visione dei registri acquisiti agli atti, emergevano senza dubbio delle correzioni a penna effettuate in un secondo momento sull’ordine di servizio, ciò a riprova di episodi che aveva denunciato Morando.
Dopo aver riportato le dichiarazioni testimoniali del denunciante e le prove documentali, la Procura giunge ad una conclusione: i fatti non sono sufficienti a provare l’accusa in giudizio perché a fronte di una condotta – che riconosce violazione di legge -, «non si rinviene la volontà di procurarsi l’ingiusto profitto né quella di recare il danno ingiusto altrui». Il Pubblico ministero, nell’argomentare la sua ritenuta assenza della penale rilevanza dei fatti, specifica che il vantaggio sarebbe della struttura carceraria e che comunque non ci sarebbe la prova della vessazione laddove i detenuti starebbero solo provvedendo alle necessità di manutenzione. Sempre l’accusa aggiunge che non c’è la prova che la mancanza di fruizione dei riposi settimanali non sia non occasionale ma continuativa, osservando che la normativa consentirebbe che il riposo venga recuperato con l’astensione dal lavoro per più giorni continuativi.
Il Pm. sul fatto che l’Assistente Capo Morando, dopo la sua denuncia, avesse ricevuto un procedimento disciplinare si limita a osservare, tra l’altro, che «l’irrogazione della sanzione nei suoi confronti appare frutto di un clima di contrasto venutosi a creare sul luogo di lavoro». Morando e il suo legale però si oppongono a queste argomentazioni. In udienza hanno ribadito le motivazioni dell’opposizione precisando che l’assenza del dolo nel reato di abuso d’ufficio si possa anche «presumere dalla macroscopica violazione di un dovere giuridico» – scrive la difesa di Morando nell’atto di opposizione - e che «l’intenzionalità del comportamento contra ius degli indagati risulta ancora più pregnante, esacerbato e pervicace ove si consideri che gli stessi non hanno tenuto conto delle segnalazioni dell’opponente, reiterando il comportamento e pervenendo financo ad alterare i registri di transito ( commettendo falso ideologico) al fine di non incorrere in sanzioni specie quando sono venuti a conoscenza dell’indagine».
Sempre l’avvocato Napoli aggiunge che «sugli altri reati non è stata svolta alcuna indagine», in particolare riferendosi al reato di maltrattamenti con riguardo alle condotte vessatorie illustrate da Morando. Per questo che al Giudice per le indagini preliminari è stato chiesto di procedere ad un supplemento di indagini, assumendo a sommarie informazioni i detenuti indicati nella denuncia – attività investigativa non effettuata come oggetto delle violazioni, considerato che agli atti della Procura, che chiedeva l’archiviazione, oltre alla denuncia dell’agente Morando, c’erano delle «indagini che forniscono un quadro probatorio inequivocabile» ovvero le testimonianze di altri due colleghi di Morando e le registrazioni ambientali che proverebbero quanto esposto.
Ora starà al giudice valutare se sia necessario approfondire con altre attività investigativa. Diversamente, se dovesse sposare la tesi della Procura, il Gip disporrà l’archiviazione.