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Metà dei detenuti assumono i farmaci, per la maggior parte ansiolitici. Per questo motivo si è deciso di migliorare l'assistenza farmaceutica penitenziaria, promuovere studi e ricerche e azioni normative per la regolamentazione delle attività di farmaceutica nelle carceri, anche identificando aree di necessità e relative proposte regolatorie da sottoporre congiuntamente agli organismi istituzionali preposti.
Questi gli obiettivi di un accordo firmato a Roma dalla Società italiana di farmacia ospedaliera e dei servizi farmaceutici delle aziende sanitarie (Sifo) e dal Coordinamento nazionale degli operatori per la salute nelle carceri italiane (Co. n. o. s. c. i), per mano dei due presidenti Simona Serao Creazzola e Sandro Libianchi. Secondo uno studio su un campione di 16.000 detenuti, nel 67,5% dei casi esiste una situazione patologica. I detenuti italiani sono affetti soprattutto da disturbi psichici incluse le patologie da dipendenza, da malattie dell'apparato digerente e da malattie infettive; inoltre i reclusi che assumono almeno un farmaco sono 8.296 (oltre il 55% del campione), con una media di 2,8 farmaci per persona ( tra i più diffusi ci sono gli ansiolitici, gli antipsicotici e gli antiepilettici). «Il settore della sanità penitenziaria è indubbiamente un ambito negletto, in quanto sono solo 10 anni che la responsabilità dell'assistenza sanitaria è passata in carico alla sanità regionale, mentre prima era in capo al ministero di Grazie e Giustizia», ha spiegato Libianchi, presidente di Co. n. o. s. c. i e responsabile medico nel carcere di Rebibbia. Con l'accordo, le due associazioni si impegnano ad avviare progetti di ricerca, di formazione e confronto, quali convegni, seminari, tavole rotonde e meeting, pubblicazioni sui temi coerenti con l'ambito penitenziario, ma anche «iniziative di informazione e documentazione utili all'aggiornamento e approfondimento dei temi sulla salute in ambito penitenziario, anche attraverso campagne di sensibilizzazione, divulgazione e di creazione di nuovi modelli gestionali da mettere a disposizione delle autorità sanitarie competenti». La collaborazione Sifo- Conosci proviene dalla realizzazione di una sessione congiunta inserita nel programma del XXXIX Congresso della Società Italiana di Farmacia Ospedaliera svoltosi a Napoli a novembre 2018, evento che ha coinvolto anche la Simspe e diversi altri medici e farmacisti operanti nelle realtà penitenziarie che hanno portato la loro esperienza: si è trattato del primo evento in Italia dedicato alla farmaceutica penitenziaria. L’accordo è importante visto che potrebbe regolamentare anche un problema sotterraneo nelle prigioni italiane: l’abuso degli psicofarmaci. In carcere lo chiamano “il carrello della felicità”. Passa fra le celle tutte le sere distribuendo compresse colorate, gocce, flaconi e pillole. Farmaci che calmano l’ansia e procurano benessere chimico. Spesso – va detto - si tratta di cure indispensabili per far fronte a disagi psichici altrimenti ingestibili. Altre volte, invece, è un abuso di terapia che annienta i prigionieri. Un “contenimento di Stato”, come lo definiscono alcuni agenti penitenziari e gli operatori volontari. Che avrebbe come scopo quello di evitare situazioni esplosive: solo con l’aiuto di massicce dosi di farmaci a effetto calmante i detenuti riescono a sopportare i luoghi di pena e i lunghi periodi di carcerazione preventiva in attesa del processo. A volte le pillole vengono assunte in maniera passiva, soprattutto dagli stranieri, che non sanno neanche cosa stanno ingoiando. Più spesso invece sono loro stessi a chiederle, per anestetizzare angoscia e dolore.