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In questi mesi abbiamo conosciuto diverse proposte di intervento per la riforma del processo penale.
Il primo progetto di disegno di legge in realtà è stato approvato con la bizzarra formula del “salvo intese” dal Consiglio dei ministri quando la maggioranza di governo era composta anche dalla Lega. Quel ddl tradiva l’impostazione del Tavolo di consultazione voluto dal ministro Bonafede, poiché in esso non vi era traccia dell’estensione delle ipotesi del cosiddetto patteggiamento né di una nuova disciplina per il giudizio abbreviato condizionato, né erano previste ipotesi di depenalizzazione in materia di contravvenzione.
IL “TRADIMENTO” DEL TAVOLO TECNICO
In sostanza si era perso il significato della interlocuzione con avvocatura e magistratura che a quel Tavolo, ferme le tante differenze, con una proposta condivisa dall’Unione delle Camere penali e da Anm, si era concentrata sul rafforzamento della funzione di filtro della udienza preliminare, su una maggiore premialità del patteggiamento accompagnato dal superamento delle ostatività, su una nuova regola di ammissione del giudizio abbreviato condizionato, dovendosi fare riferimento alla rilevanza e alla specificità del tema di prova e non più all’economia processuale per la sua ammissione.
Nella prospettiva di quella ipotesi di intervento si trattava di contribuire a diminuire il numero dei procedimenti destinati al dibattimento per rafforzare, proprio nel processo, le garanzie di effettiva realizzazione del contraddittorio. A quel Tavolo l’Unione portò anche proposte per la certezza della durata del tempo dell’indagine, per il controllo giurisdizionale sul tempo dell’iscrizione della notizia di reato e sul rafforzamento delle garanzie del diritto di difesa.
Del disegno di Legge approvato “salvo intese” demmo un duro giudizio perché, nella sua stesura finale, non prevedeva più un intervento limitato per la ragionevole durata del processo ma prevedeva, fuori da qualsiasi interlocuzione, l’introduzione del sorteggio nei meccanismi elettorali nel Csm, consegnava un potere autoreferenziale sulla indicazione delle priorità della trattazione degli affari penali alle Procure della Repubblica e individuava complicati meccanismi disciplinari, peraltro non collegati al singolo procedimento, su cui fondare l’efficienza degli uffici giudiziari.
Realizzata la nuova maggioranza di governo, prese a girare nelle redazioni dei giornali e delle riviste giuridiche una seconda bozza nella quale in effetti erano recuperati alcuni approdi del Tavolo sui riti speciali ancorché con la previsione di una vasta gamma di preclusioni e sul rafforzamento della funzione di filtro dell’udienza preliminare, ma vi era anche un’inquietante ipotesi di estensione della disciplina del 190 bis c. p. p.: la non ripetizione della prova nel caso di mutamento di componenti del Collegio, e ancora, la via disciplinare per “contenere” i tempi di durata dei processi.
IL DEVASTANTE NUOVO TESTO DEL DDL
Gira in questi giorni, come il segreto di Pulcinella, già riassunta e corredata di primi commenti di alcuni giornali ben informati, un ulteriore testo che dovrebbe rappresentare il punto di compromesso tra le forze di governo anche sulla prescrizione.
Come sempre, in tempi rapidi, ci faremo carico di un contributo scientifico sulle singole previsioni ma da subito possiamo dare un giudizio complessivo che ferma la lancetta del barometro al pessimo. Nuove preclusioni per il patteggiamento allargato; la selezione delle notizie di reato da trattare con criteri di priorità affidati alle Procure della Repubblica; la conferma dell’estensione della regola di cui all’art. 190 bis comma 1 c. p. p. a tutti i procedimenti, dunque, utilizzabilità della prova precedentemente raccolta nel caso di mutamento del giudice; la previsione della lettura al dibattimento degli atti redatti dalla polizia giudiziaria con buona pace delle tecniche di esame e controesame e del principio di formazione della prova al dibattimento; la valutazione da parte dell’ufficio del Giudice monocratico, al fine di uno spoglio preliminare, del fascicolo del pubblico ministero; ulteriore estensione delle ipotesi riservate al Giudice monocratico di Appello e di udienze non partecipate violando il principio di collegialità e delle regole di oralità e immediatezza; nuovi meccanismi per la elezione dei componenti del Consiglio superiore della magistratura. Tutte materie fuori dalla interlocuzione del Tavolo tecnico- ministeriale ma evidentemente frutto di accordi (?) in sede politica.
Vi sono poi le disposizioni in materia di sospensione del corso della prescrizione. Qui si gioca una partita che riguarda l’assetto costituzionale del nostro sistema penale: Bonafede e i suoi sostenitori scommettono sull’imputato sempre colpevole, superando il principio di presunzione di innocenza: intervenuta condanna in primo grado la prescrizione non opera più, se l’impugnazione è del pm contro una sentenza di assoluzione il blocco della prescrizione è di due anni con un complicato meccanismo di recupero di quel tempo nel giudizio di Cassazione qualora il secondo grado si definisca con condanna. Se questo sciagurato meccanismo entrasse in vigore avremo per un periodo cinque diverse discipline diverse per la prescrizione e, comunque, le Corti di Appello chiamate, in “via prioritaria”, a celebrare processi nei quali l’imputato è stato assolto in primo grado “per vedere di rimediare a quell’errore”.
COSA HA DETTO L’UCPI AD ANDREA ORLANDO
L’onorevole Andrea Orlando, padre della disciplina della prescrizione abrogata dalla Bonafede, in un’intervista resa ieri a Errico Novi diceva che noi delle Camere penali avremmo espresso apprezzamento per la bozza di riforma. Abbiamo incontrato l’onorevole Orlando il 5 dicembre 2019, nel pieno svolgimento della nostra maratona oratoria. Volevamo capire se il Pd avrebbe appoggiato l’abolizione della legge sulla prescrizione, gli abbiamo ricordato che l’Unione delle Camere penali non aveva condiviso la sua riforma ma che la legge Bonafede si poneva in contrasto con principi costituzionali e con regole della nostra civiltà giuridica. In quell’incontro abbiamo affermato come un intervento sui tempi del processo si potesse realizzare attraverso le proposte positive che i Penalisti italiani e l’Anm avevano condiviso al Tavolo ministeriale in materia di rafforzamento della funzione di filtro dell’udienza preliminare e di rilancio dei riti alternativi, convinti come siamo che se davvero si vuole intervenire sui tempi del processo, quei limitati interventi siano un utile contributo per diminuire il carico degli affari penali al dibattimento e per rafforzare la garanzie difensive.
DAI PENALISTI MURO CONTRO IL DDL
Chi intenda ulteriormente erodere le garanzie difensive, prevedere il recupero al dibattimento di prove già formate precedentemente, consegnare alle Procure della Repubblica le scelte in punto di priorità dell’esercizio dell’azione penale, svilire o addirittura annullare la portata del giudizio di Appello, troverà i penalisti italiani sulla sua strada a rivendicare una diversa cultura del diritto penale e la necessità della concreta realizzazione dei principi costituzionali che informano il processo.
Oggi ci attende la battaglia sulla prescrizione, il 28 gennaio saremo con i professori delle Università italiane davanti al Parlamento per rivendicare le ragioni del diritto penale democratico contro la riforma Bonafede. Speriamo che anche i parlamentari del Pd si impegnino per abolire quella sciagurata legge.
* Segretario Unione Camere penali italiane