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Non visitò Alice Sebesta, nonostante per ben tre volte fosse stata chiamata dal carcere per un colloquio con la detenuta. Ed è per questo che ora la psichiatra che aveva in cura la madre tedesca che due anni fa ha ucciso i propri figli lanciandoli dalla tromba delle scale del carcere di Rebibbia rischia il processo. L’accusa è di omicidio colposo per aver omesso di visitarla. Ma non solo: il giudice che a dicembre dello scorso anno ha assolto la donna per vizio totale di mente ha restituito gli atti al pm, chiedendo di ampliare le responsabilità. E ciò vuol dire che altri nomi potrebbero presto finire sul registro degli indagati, per capire se qualcuno avrebbe potuto evitare quella tragedia. Sebesta dovrà trascorrere 15 anni in un Rems, struttura sanitaria per l’esecuzione di misure di sicurezza. Anche il pm Eleonora Fini aveva chiesto l’assoluzione per vizio totale di mente. La donna, difesa dall’avvocato Andrea Palmiero, poco prima della sentenza ha reso dichiarazioni spontanee in aula. «Non è vero che sono una cattiva madre, non ho usato alcuna crudeltà - ha detto -. L’ho fatto per salvare i miei figli: a loro ci penso ogni giorno». Una donna affetta da «una grave forma di dissociazione», che al suo ingresso in carcere aveva già alle spalle un percorso clinico di 9 anni. Un particolare che era emerso nel corso dell’incidente probatorio, finalizzato a capire se la donna, arrestata il 26 agosto 2018 perché trovata in possesso di 10 chili di marijuana, fosse capace di intendere e di volere. «La sua è una patologia abbastanza forte - spiegava allora al Dubbio l’avvocato Palmiero - e il consulente ha rilevato una grave forma di dissociazione». Le sue condizioni, però, non erano state ritenute incompatibili con il regime carcerario, nonostante quanto contenuto in un documento firmato dal capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini, visionato dall’Ansa subito dopo la tragedia. Prima di uccidere Faith, di 4 mesi, e Divine, di 19 mesi, la donna sarebbe stata segnalata più volte «per alcuni comportamenti, sintomatici di una preoccupante intolleranza nei confronti dei due piccoli», tanto che il personale del carcere aveva segnalato «la necessità di accertamenti anche di tipo psichiatrico». Informazioni che al suo legale, Andrea Palmiero, non erano state, però, mai comunicate. La donna, secondo quanto riporta Repubblica, avrebbe lasciato più volte i bambini a stomaco vuoto, gridando e rubando i giochi ai figli delle altre detenute. E per lei era stata disposta la "grande sorveglianza" per una settimana, «soprattutto nell'interesse dei minori». Tra gli episodi segnalati, aver fatto urtare volontariamente la testa di uno dei figli contro una porta, motivo per cui era stata chiesta una consulenza psichiatrica, che però non arrivò mai. «L’istanza per farle avere i domiciliari - spiegava allora al Dubbio l’avvocato Palmiero - è stata rigettata per ben due volte. Nel primo caso si poneva un problema effettivo: la donna, che non si trovava nel proprio paese, non aveva una casa in cui poter eleggere domicilio, così la prima volta la mia istanza è stata respinta. Mi sono impegnato per trovare una casa in cui potesse passare questo periodo di custodia cautelare ai domiciliari e alla fine ci sono riuscito. Così ho presentato per la seconda volta istanza, ad un nuovo giudice, in quanto nel frattempo era cambiato. Ma, inspiegabilmente, è stata rigettata una seconda volta, senza alcuna giustificazione a mio avviso plausibile: secondo il gip, la difesa non aveva portato alcun elemento nuovo. In realtà, però, l’elemento nuovo c’era: la casa, appunto».