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«Dall'Amministrazione servono segni concreti volti a garantire ambienti rispettosi dei diritti e della dignità dei lavoratori, personale in numero rispondente alle esigenze, una formazione professionale continua». Così, con una nota, il Garante nazionale delle persone private della libertà esprime vicinanza alla polizia penitenziaria. Tre suicidi in un mese, l'ultimo tre giorni fa. A togliersi la vita una donna Assistente capo del Corpo di Polizia penitenziaria, in servizio nella Casa circondariale Pagliarelli "Antonio Lo Russo" di Palermo. Pochi giorni prima altri due operatori di Polizia penitenziaria in servizio nell'Istituto di Latina. Alla luce di questi fatti, il Garante nazionale dei detenuti e delle persone private delle libertà esprime innanzitutto «vicinanza alla Polizia penitenziaria e ai suoi operatori colpiti da questi drammatici eventi». Ma esprime anche «profonda preoccupazione per quanto accaduto, quale segnale di un disagio che non è più possibile non leggere». Afferma il Garante: «Certamente sono molti e diversi i fattori che possono spingere una persona a compiere un gesto estremo come quello di togliersi la vita e volerli ricondurre a un'unica matrice è sempre riduttivo. Tuttavia, sono note le difficoltà del lavoro che la Polizia penitenziaria svolge in prima linea in carcere, in una situazione segnata da una serie di criticità, strutturali, gestionali e numeriche, rese ancora più evidenti in questi ultimi tempi dall'emergenza sanitaria in atto». Il Garante nazionale nei suoi Rapporti a seguito delle proprie visite agli Istituti penitenziari ha più volte messo in evidenza le criticità legate al personale che vi opera. Pertanto, auspica «che l'impegno, più volte dichiarato dall'Amministrazione penitenziaria e positivamente ribadito anche recentemente, per il miglioramento delle condizioni di lavoro si tramuti a breve in gesti concreti volti a garantire ambienti rispettosi dei diritti e della dignità dei lavoratori, personale in numero rispondente alle esigenze, una formazione professionale iniziale e continua all'altezza dei compiti che Costituzione e Ordinamento assegnano al Corpo di Polizia penitenziaria. E offrendo anche quel supporto necessario a chi svolge un lavoro in prima linea, sottoposto a tensioni e situazioni di forte stress emotivo». Lavorare all’interno dei penitenziari, infatti, non è semplice. Spesso lo stress da lavoro correlato si manifesta con la percezione di squilibrio avvertita dall’agente quando le richieste dell’ambiente lavorativo eccedono le capacità individuali, al punto che l’operatore penitenziario, nel medio-lungo termine avverte una varietà di sintomi o disturbi che vanno dal mal di testa, ai disturbi gastrointestinali a patologie del sistema nervoso, disturbi del sonno, nevrastenia, sindrome da fatica cronica fino a casi di burnout o collasso nervoso. Resta il fatto che il lavoro delicatissimo svolto dalla Polizia Penitenziaria, non ha ancora oggi un riferimento stabile perle situazioni psicologiche, in tutte le loro varianti. Le iniziative di counseling adottate occasionalmente fino ad oggi, non hanno portato i risultati sperati, riscontrando quale criticità sia il luogo messo a disposizione dalle Asl che vi hanno collaborato,trattandosi di locali inseriti o annessi a strutture ospedaliere, ovvero riserve personali di tipo stigmatizzante, quando i luoghi sono stati reperiti all’interno della struttura penitenziaria, sia pur in ambiente riservato. Un’attenzione psicologica all’agente si rende necessaria perché, oltre ad evitare un aumento pericoloso di conflittualità nella relazione con il detenuto, permette di sostenere la sua personalità. Quest’ultimo è esposto a continui processi di burnout in grado generare conseguenze drammatiche. Ne sono prova i frequenti episodi di suicidio riscontrati ultimamente.