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Trattativa Stato-mafia L’ex democristiano Calogero Mannino non ha trattato con la mafia. Confermata l’assoluzione di primo grado dalla Corte di assise di appello di Palermo presieduta da Adriana Piras, giudici a latere Maria Elena Gamberini e Riccardo Corleo.
Una formula piena che rigetta le accuse formulate dal sostituto procuratore generale Sergio Barbiera e dal collega Giuseppe Fici, i quali erano convinti che le acquisizioni probatorie avrebbero potuto confermare inoppugnabilmente il timore dell’onorevole Mannino di essere ucciso e le sue azioni per attivare un “ turpe do ut des” per stoppare la strategia stragista avviata da Cosa nostra.
L'assoluzione del 2015 In sostanza hanno riproposto la stessa accusa dei loro colleghi precedenti, coloro che furono smentiti dalla sentenza di assoluzione, in primo grado, nel novembre del 2015. Riconfermata però nella giornata di ieri.
Ricordiamo che si tratta del processo stralcio sulla trattativa, mentre quello ordinario ha visto la condanna a dodici anni di reclusione per i due ufficiali dei Ros, Antonio Subranni e Mario Mori ( così come per Riina e Cinà, mentre sono stati ventotto per Bagarella e, invece, è stata dichiarata la prescrizione per Brusca, tenendo conto dell’attenuante della dissociazione); otto anni per il comandante Giuseppe De Donno e 12 anni per Marcello Dell’Utri.
Mentre con la medesima sentenza è stato, invece, assolto l’allora ministro Nicola Mancino dal delitto contestatogli di falsa testimonianza.
È stato condannato per quello di calunnia anche Massimo Ciancimino, prosciolto, invece, dalla più grave accusa per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa. Oggi, per tutti i condannati, si sta celebrando il processo d’appello.
Il ruolo dei Ros Ma la sentenza di assoluzione giunta ieri nei confronti di Mannino, non può non creare un aspetto singolare.
I Ros quindi avrebbero avviato la trattativa da soli, senza alcun mandante politico?
Tolto l’elemento politico, le motivazioni della sentenza di primo grado sul troncone principale della trattativa Stato- mafia andrebbero quindi riscritte da capo.
Sì, perché nelle motivazioni, la miccia che avrebbe avviato la trattativa è del tutto politica.
Secondo i giudici del collegio presieduto da Alfredo Montalto, sarebbe stato, infatti, proprio Mannino ad aver cercato nei primi mesi del 1992 contatti con esponenti di apparati investigativi, affinché acquisissero informazioni da uomini collegati a Cosa nostra e si aprisse con i vertici dell’ organizzazione criminale la “trattativa stato- mafia”, finalizzata a sollecitare eventuali richieste da parte di quest’ultima per far cessare la programmata attuazione della strategia omicidiario- stragista.
Il verdetto di condanna nel troncone principale è arrivato dopo che Mannino in primo grado era stato assolto «per non avere commesso il fatto».
Il Gup Marina Petruzzella nelle motivazioni parlava di «mosaico accusatorio sulla complessa ipotesi della trattativa Stato- mafia e in cui vengono riagganciate a ritroso le condotte attribuite all'imputato Mannino, ma che non assumono adeguata validità probatoria».
Sempre la Petruzzella aggiungeva: «Di certo resta il fatto che Mori e De Donno, ufficiali del Ros, corpo dedicato alle investigazioni antimafia e alla ricerca dei più pericolosi latitanti, andarono a rivolgersi a Vito Ciancimino, conoscendo chi fosse e quali interessi rappresentasse, ed ebbero con lui un'interlocuzione che, relativamente a quanto può considerarsi accertato, ebbe come fine la risoluzione di quei problemi di ordine pubblico e principalmente la cattura di Riina».
Ora però la conferma dell’assoluzione è arrivata mentre è in corso il processo principale d’appello. Elemento che i giudici potrebbero mettere in conto.