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Passare dalla cultura dell’emergenza a quella della prevenzione in qualsiasi ambito che sia sociale, civile o addirittura ambientale è una sfida che riguarda tutti. Dai migranti agli eventi meteorologici, dal welfare all’emergenza criminalità, sono sempre più numerosi i casi in cui la parola “emergenza” viene usata forse a sproposito, cioè per situazioni che emergenze non sono. Per definizione, una emergenza è un evento totalmente inaspettato, le cui conseguenze sono difficili e urgenti da governare proprio perché non previste.
Le stragi di mafia agli inizi degli anni 90 era stata un’autentica emergenza e lo Stato ha avuto quindi la giustificazione per prevedere leggi “emergenziali” che poi però sono diventate “ordinarie”. Ma l’emergenza è anche diventata nemica della verità. Il caso più eclatante riguarda la gestione dei pentiti, il carcere duro come arma per poter far parlare le persone e, nel caso del depistaggio sulla strage di via D’Amelio, anche far confessare un delitto mai commesso e coinvolgere persone innocenti. Parliamo del falso pentito Vincenzo Scarantino capace di ritrattare in diverse occasioni le proprie dichiarazioni nel corso degli anni e lungo lo svolgimento del processo. Emblematico quando disse: «Per lasciare Pianosa avrei fatto arrestare mia madre». Pianosa è una delle carceri speciali riaperte durante l’emergenza mafiosa, una piccola Guantamo dove numerose furono le denunce di tortura. L’emergenza, quindi, è diventata l’unica risposta dello Stato.
Di questo e altro ancora si parlerà oggi, a partire dalle 9, presso il carcere di Padova. Sarà una giornata nazionale di studio dal titolo “La cultura della prevenzione, l'incultura dell'emergenza”, che distinguerà la prevenzione, intesa come azione diretta ad evitare qualcosa di negativo, dall’emergenza, quindi la difficoltà imprevista. Apriranno i lavori il direttore della Casa di reclusione, Claudio Mazzeo, e il Provveditore dell’Amministrazione penitenziaria per il Triveneto, Enrico Sbriglia. A coordinarli sarà Adolfo Ceretti, Professore ordinario di Criminologia dell’Università di Milano- Bicocca, e Coordinatore Scientifico dell’Ufficio per la Mediazione Penale di Milano. Tra le sue pubblicazioni, Cosmologie violente e “Oltre la paura”, il libro dell’incontro. A concludere i lavori sarà Lina Di Domenico, vice capo dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria. L’evento è organizzato dal centro documentazione Due Palazzi della redazione di ristretti orizzonti, dalla direzione del carcere e dalla conferenza nazionale volontariato giustizia. L’ospite d’onore sarà Fiammetta Borsellino, figlia minore del magistrato Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia nella strage di via D’Amelio il 19 luglio 1992, quando persero la vita anche i cinque agenti della scorta. Ed è lei che ha recentemente ricordato che andrebbe rivisto la pena a vita, perché la riabilitazione è possibile attraverso dei percorsi che il carcere deve offrire. Nell’incontro sarà presente anche Paolo Setti Carraro, chirurgo che ha scelto, dopo anni di carriera in Italia, di andare a operare in Afghanistan, perché «mi sono accorto che il denaro corrompe. Non è una frase fatta. Corrompe davvero, anche nella sanità, perché influenza le diagnosi, le terapie, le urgenze, la scelta dei luoghi di cura». Paolo è fratello di Emanuela, moglie, uccisa con lui in un agguato mortale a Palermo nel 1982. A coordinare la seconda sezione di lavori dedicati alle esperienze che fanno del carcere, non una scuola del crimine ma di legalità, sarà Francesco Viviano, che prima di diventare un grande cronista è stato un “ragazzo permale”. Francesco Viviano, cresciuto assieme ai mafiosi nel quartiere Albergheria di Palermo e inviato de la Repubblica, ha seguito i principali processi di mafia, analizzando l’evoluzione di Cosa nostra dalle stragi a oggi. È autore, tra l’altro, per Chiarelettere di “Io, killer mancato” e, con Alessandra Ziniti, “Non lasciamoli soli Storie e testimonianze dall'inferno della Libia”. Ma si parlerà anche dell’Italia dei centri di identificazione e di espulsione, dei richiedenti asilo e dei clandestini attraverso le parole della scrittrice Francesca Melandri con la presentazione del suo ultimo libro “Sangue giusto”. Presenti anche i magistrati Riccardo De Vito e Giuseppe Spadaro che affronteranno il tema della pena intesa per creare sicurezza e della prevenzione per togliere alla criminalità organizzata il consenso delle giovani generazioni. Per finire, ci sarà il sociologo Marco Boato che affronterà il 41 bis e l’emergenza dilatata senza dare spazio al cambiamento.