PHOTO
Sollicciano
Un detenuto del carcere di Sollicciano era stato denunciato per aggressione sessuale e resistenza a pubblico ufficiale nei confronti di una ispettrice capo, ma una volta sentito dai magistrati ha raccontato tutt’altra vicenda: in realtà, lui e un altro detenuto avrebbero subito violenze da parte degli agenti penitenziari. Un racconto che sarebbe stato confermato dalle immagini delle telecamere acquisite dal direttore del carcere. A quel punto ne è scaturita una indagine sfociata ieri in nove misure cautelari per gli agenti penitenziari accusati del reato di tortura, mentre la vice ispettrice è tuttora indagata. Tre si trovano agli arresti domiciliari: l'ispettrice Elena Viligiardi coordinatrice del reparto penale, l'assistente Luciano Sarno e l'agente Patrizio Ponzo. Gli altri sei sono invece interdetti dalla professione per un anno. A coordinare le indagini è Christine Von Borries, pm della procura di Firenze. Gli episodi contestati sarebbero avvenuti più volte nel tempo: nel 2018 e nel maggio scorso. I due detenuti oggetto di pestaggio nel carcere di Sollicciano hanno riportato gravi lesioni, come la rottura di un timpano e frattura delle costole. I nove indagati devono rispondere anche di falso ideologico in atto pubblico, perché avrebbero fatto passare gli abusi come resistenze da parte dei detenuti. Sì, perché le indagini della Procura hanno rivelato che la denuncia fatta nei confronti del detenuto marocchino era falsa e che era stato invece picchiato da un gruppo di agenti dopo aver chiesto di telefonare ai parenti in Francia, proprio nell’ufficio dell’ispettrice capo responsabile della sezione penale.
Ricoverato per le ferite in ospedale per le fratture di due costole, il detenuto aveva poi messo a verbale che nell’ufficio dove era stato picchiato erano presenti «l’ispettrice con i capelli biondi dietro la scrivania, quattro agenti, oltre all’ispettore e il capoposto. Sono stato colpito con pugni e calci. Una volta caduto a terra sono stato colpito ancora e poi ammanettato». Avrebbero anche esclamato: «Ecco la fine di chi vuole fare il duro!». Così, di fronte alle due denunce contrapposte, il direttore del carcere fece acquisire le immagini delle telecamere che hanno confermato il racconto del detenuto. Da lì le indagini hanno ricostruito un altro episodio di violenza, avvenuto nel 2018, quando un detenuto italiano denunciò la rottura di un timpano.
Ed è così che la Toscana raggiunge il triste primato relativo a presunti casi di tortura in carcere. Ricordiamo infatti il precedente che riguarda il carcere di San Gimignano: i pestaggi – grazie alla segnalazione dell’associazione Yairaiha Onlus - resi pubblici per la prima volta da Il Dubbio, sarebbero avvenuti l’ 11 ottobre del 2018. Il giudice dell’udienza preliminare di Siena ha recentemente rinviato a giudizio cinque agenti penitenziari in servizio accusati di aver esercitato una inaudita violenza nei confronti del detenuto tunisino Meher. Nello stesso tempo condannato a 4 mesi un medico per omissioni d’atti di ufficio, perché non avrebbe visitato il detenuto quando era seminudo e dolorante in cella di isolamento. Tra le parti civili, oltre ad Antigone e l’associazione Yairaiha, c’è anche il garante nazionale delle persone private della libertà rappresentato dall’avvocato Michele Passione. Gli imputati hanno chiesto il rito abbreviato. La novità è che il 27 gennaio prossimo, in udienza, sarà visionato il video che ha ripreso, in parte, tutto quello che è accaduto.