In un colpo di scena giudiziario, la Giudice per le indagini preliminari di Modena Carolina Clò ha respinto la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura per gli eventi dell' 8 marzo 2020 nel carcere Sant'Anna. Lo fa, accogliendo le osservazioni degli avvocati difensori dei detenuti, Luca Sebastiani, Ettore Grenci e Simona Filippi di Antigone. Il caso, che coinvolge 120 agenti di polizia penitenziaria accusati di tortura, rimane aperto con la disposizione di ulteriori indagini da completarsi entro sei mesi.

«Sono necessari ulteriori accertamenti per chiarire quanto è successo l' 8 marzo del 2020 al Sant'Anna», ha dichiarato la Gip Clò, sottolineando la complessità del caso. «È vero che sono emerse numerose contraddizioni, ma è altrettanto vero che alcuni detenuti presentavano lesioni. Anche solo per 'chiudere' il cerchio attorno alla vicenda e arrivare quindi ad un quadro completo, è bene continuare ad indagare». La decisione arriva dopo un lunghissimo periodo di tensione e dibattiti, con denunce presentate da diversi detenuti che accusavano gli agenti di brutali pestaggi durante la rivolta.

La Gip ha disposto l'archiviazione per circa venti indagati, ma ha ordinato contemporaneamente nuove indagini per gli altri casi. Il provvedimento mette in luce diverse aree critiche che necessitano di ulteriori approfondimenti. Una delle prime criticità evidenziate riguarda le testimonianze raccolte. Le versioni fornite dai detenuti e dagli agenti penitenziari risultano infatti in netto contrasto tra loro, offrendo ricostruzioni differenti dei fatti.

Inoltre, sebbene sia stato riconosciuto l'uso legittimo della forza da parte delle forze dell'ordine per sedare la rivolta, la Gip ha espresso dubbi sulla proporzionalità delle azioni intraprese, richiedendo ulteriori accertamenti. Un altro punto cruciale riguarda il sistema di videosorveglianza del carcere. Il mancato funzionamento delle telecamere in zone strategiche, come il campo sportivo e le porte carraie, ha impedito di acquisire elementi probatori fondamentali per ricostruire l'accaduto e ha sollevato interrogativi sulla gestione della sicurezza all'interno dell'istituto.

Le intercettazioni telefoniche hanno inoltre rivela-to un incontro tra tre degli indagati poco prima della loro convocazione in questura, un fatto che richiede chiarimenti e che potrebbe svelare eventuali connessioni esterne alla rivolta. Ricordiamo che nove detenuti persero la vita in quell'occasione, ma in questo caso è tutto archiviato.

Secondo le conclusioni della giustizia italiana, la causa del decesso fu attribuita unicamente all'overdose di metadone, che i detenuti avrebbero sottratto dall'infermeria. Di conseguenza, nessuna responsabilità fu imputata: né all'amministrazione penitenziaria, né a coloro che gestirono i soccorsi o i trasferimenti dei detenuti. È da notare che in almeno due ca-si, come riportato all'epoca sulle pagi-ne de Il Dubbio, i detenuti giunsero alle carceri di destinazione in condizioni critiche, prossimi alla morte.