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La normativa vigente, infatti, consente ai magistrati ex parlamentari la possibilità di tornare a svolgere, senza alcuna limitazione, le funzioni giudiziarie. Nulla è previsto, poi, per i magistrati eletti al Parlamento europeo o quelli che hanno ricoperto la carica di sindaco, consigliere comunale, circoscrizionale, oppure di assessore. «Come sapete bene voi del Dubbio - prosegue Zanettin - nella scorsa legislatura fui relatore al Senato, unitamente a Felice Casson, magistrato ed esponente del Pd, di un disegno di legge in materia di candidabilità, eleggibilità e ricollocamento dei magistrati in occasione di elezioni politiche ed amministrative, approvato all’unanimità dall’aula di Palazzo Madama nel marzo del 2014».
«Trasmesso alla Camera - continua l’ex consigliere del Csm , era rimasto fermo in Commissione giustizia ( all’epoca presieduta da Donatella Ferranti, magistrato eletto nelle liste del Pd e non ricandidata alle ultime elezioni da Matteo Renzi, ndr) per tre anni. Soltanto la scorsa primavera l’aula di Montecitorio aveva proceduto alla sua discussione, apportandovi delle modifiche sostanziali che ne avevano determinato il ritorno in Senato per l’approvazione definitiva: ma la fine della legislatura è arrivata prima». Questo disegno di legge ha un lunghissima storia alle spalle. Presentato la prima volta nel 2001, fu approvato alla Camera per poi arenarsi in Senato. Venne poi ripresentato, senza successo, nel 2005 e nel 2011. Dopo tre legislature, quella appena passata sembrava fosse decisiva per sciogliere finalmente il nodo politica- magistratura. Ed invece dopo oltre 16 anni di discussioni, ancora una fumata nera.
Eppure in questi ultimi anni si erano create tutte le condizioni affinché il Parlamento regola- mentasse la materia. Il Csm aveva votato all’unanimità, nell’ottobre del 2015, una risoluzione che evidenziava «l’assenza di un completo e razionale quadro normativo di riferimento e la necessità di rafforzare i princìpi di imparzialità e di indipendenza della magistratura, laddove essi possono essere compromessi sia nella sostanza sia nella valutazione della collettività».
La stessa Associazione nazionale magistrati aveva più volte, anche in una recentissima nota del 24 marzo 2018, ribadito l’auspicio di un intervento del legislatore in materia. Senza contare che il Greco, l’organo anticorruzione del Consiglio d’Europa, aveva “invitato” l’Italia ad introdurre leggi che ponessero limiti più stringenti per la partecipazione dei magistrati alla politica, mettendo fine alla possibilità per i giudici di mantenere il loro incarico in caso di elezione o nomina negli enti locali. Ed anche l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva invitato il Parlamento ad intervenire al riguardo.
«Ho ripresentato ieri, per la quarta volta, questo disegno di legge», annuncia al Dubbio Zanettin. Questi i punti salienti del testo. A termine del mandato elettorale i magistrati potranno scegliere diverse opzioni: essere ricollocati in ruolo in un distretto di Corte di appello diverso da quello in cui è compresa la circoscrizione elettorale nella quale sono stati eletti e diverso da quello in cui prestavano servizio, con il vincolo dell’esercizio delle funzioni collegiali per un periodo di cinque anni e con il divieto di ricoprire, in tale periodo, incarichi direttivi o semidirettivi; essere inquadrati in un ruolo autonomo dell’Avvocatura dello Stato o del Ministero della giustizia; essere collocati in pensione, con contribuzione volontaria e senza oneri per il bilancio dello Stato, fino ad un massimo di cinque anni di servizio.
I magistrati eletti alla carica di sindaco, una volta cessati dal mandato, non potranno invece per i successivi cinque anni prestare servizio nella Regione nella quale ricade il comune nel cui ambito hanno espletato il mandato. Una volta ricollocati in ruolo non potranno ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi per un periodo di cinque anni ma solo funzioni giudicanti collegiali per un periodo di cinque anni. Sarà la volta buona?