PHOTO
Costretto a un "superlavoro" dal brusco abbassamento dell'età pensionabile, l'attuale Csm si è dato da fare. Nell'arco del primo biennio (da ottobre 2014 a oggi) ha prodotto il 56 per cento di nomine in più rispetto allo stesso periodo della consiliatura precedente: 478 contro 306. «È una sfida vinta», commenta il vicepresidente Giovanni Legnini, «dopo la riduzione da 75 a 70 anni della soglia per il congedo dei magistrati, siamo riusciti a operare un ricambio straordinario negli uffici». Il vertice di Palazzo dei Marescialli ne parla attorniato da diversi consiglieri, laici e togati, in una conferenza stampa arricchita da un preciso dossier. «I grafici che vedete sono stati elaborati dall'ufficio statistico, qui al Consiglio superiore l'abbiamo creato appena un anno fa. Il risultato», spiega Legnini «è anche la dimostrazione che con il Testo unico sul conferimento degli incarichi ci siamo dati regole puntuali e precise». Le nuove norme danno particolare rilievo alle capacità organizzative. «Tra i parametri contano non solo i titoli ma anche i risultati raggiunti», fa notare la togata di Unicost Maria Rosaria San Giorgio.E forse il passaggio più "politico" dell'incontro tra Consiglio superiore e giornalisti è nelle parole pronunciate dal togato di Magistratura indipendente Claudio Galoppi. Che ricorda: «Le riforme interne sono state fatte insieme da tutti: i processi riformatori sono importanti se avvengono appunto con un lavoro condiviso». Detta così parrebbe una frecciata a Renzi, che invece ha approvato con la sola maggioranza di governo addirittura la riforma costituzionale. Ma nel consigliere "di centrodestra" non c'è malizia, casomai la risposta alle perenni invettive contro il "correntismo paralizzante" della magistratura. «E invece farei notare che in due anni il Csm è stato sconfitto, nei ricorsi proposti contro le nomine, solo 9 volte, contro i 28 casi del primo biennio della consiliatura precedente». È questa la prova, per Galoppi, che «il criterio meritocratico paga». Che il testo unico funzioni, fa osservare Legnini, «è dimostrato dalla drastica riduzione del contenzioso: nel 2010 veniva impugnato il 37% delle delibere sugli incarichi, quest'anno siamo scesi al 14,8%». Scende l'età media di direttivi e semidirettivi: i nominati ricevono l'incarico in media a un'età di 59 anni, chi cessa dalla funzione di vertice ha mediamente 68 anni. Vuol dire, nota Lucio Aschettino (Md), «che il nuovo limite di 8 anni per la permanenza al vertice degli uffici, non travolgerà il sistema». Le donne che ricevono investiture per presiedere un Tribunale o dirigere un ufficio di Procura sono il 25% del totale. Se si tiene conto anche dei semidirettivi le nomine in rosa passano dal 12% di 10 anni fa all'attuale 31%. Tempi di scelta più rapidi: un incarico ora viene assegnato in 295 giorni contro i 341 della consiliatura precedente. «Siamo di fronte a un enorme ricambio generazionale», dice Legnini, «che in Cassazione ha riguardato addirittura l'84 per cento dei ruoli. Non ho voluto esprimere giudizi sul decreto appena varato, ma va detto che, senza quella misura, alla Suprema corte sarebbe cambiato anche il restante 16% dei vertici. E per la giustizia italiana sarebbe stato un colpo difficile da reggere».