L'Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale (AIPDP) e l'Associazione tra gli Studiosi del Processo Penale “GD” Pisapia (ASPP), letto il report sui suicidi in carcere predisposto dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, aggiornato al 20 dicembre 2024, esprimono il proprio sconcerto per la sempre più allarmante realtà delle carceri italiane e richiamano l'attenzione della società civile e delle istituzioni su un prioritario problema di civiltà giuridica e di tutela dei diritti fondamentali nel nostro Paese.

Il 2024 ha segnato, infatti, il record dei suicidi in carcere negli ultimi trent'anni . Il Garante Nazionale riferisce che sono stati 83 al 20 dicembre 2024: 17 in più rispetto al 2023. Ciò significa, in media, che quest'anno ogni quattro giorni un detenuto si è tolto la vita. Il dato è verosimilmente sottostimato, perché vi sono stati nel 2024 altri 20 decessi in carcere “per causa da accertare”. I tentati suicidi sono stati 2.035 ( 179 in più rispetto al 2023), gli atti di autolesionismo 12.544 ( 483 in più rispetto al 2023).

Questi e altri dati sono il segno tangibile e drammatico delle condizioni di grave sofferenza nelle quali versano i detenuti e, con loro, il sistema penitenziario italiano, ormai da anni afflitto da un cronico sovraffollamento e in molti casi assai lontano dagli standard compatibili con i principi costituzionali, con le carte sovranazionali dei diritti, e con le regole stabilite dalla legge sull'ordinamento penitenziario, della quale nel 2025 ricorrerà il cinquantesimo anno dall'approvazione.

Se è vero che il livello di civiltà di un Paese si misura anche dalle condizioni delle sue carceri e dal trattamento riservato ai detenuti, i dati sui suicidi e sugli atti di autolesionismo negli istituti penitenziari devono indurre tutti a una seria riflessione, tanto più che, come si evince dal rapporto del Garante Nazionale, sembra esservi una correlazione tra quegli “eventi critici” e la saturazione degli istituti penitenziari, dove sono detenute oggi oltre 10.000 persone in più rispetto alla capienza regolamentare. Il Paese, undici anni dopo la condanna della Corte europea dei Diritti dell'Uomo per le condizioni di sovraffollamento (sentenza Torreggiani), vive una nuova crisi carceraria, che è ora anche una drammatica “emergenza-suicidi”.

Le riforme del sistema sanzionatorio realizzate nell’ultimo decennio hanno certamente evitato il collasso dell’esecuzione penale: sono state necessarie ma, come appare evidente, non sono ancora sufficienti. Va infatti considerato che agli oltre 62.000 detenuti (dato più alto dell’ultimo decennio) devono essere sommate: le circa 95.000 persone che si trovano in esecuzione penale fuori dal carcere per effetto di misure alternative alla detenzione, di pene sostitutive, della sospensione del procedimento con messa alla prova e di altre misure; le persone, molte delle quali non detenute, affidate agli uffici esecuzione penale esterna per valutare e programmare una misura alternativa (complessivamente 46.000); nonché le almeno 90.000 persone che si trovano nella preoccupante e inaccettabile condizione di “liberi sospesi”: condannati a pena detentiva fino a 4 anni che attendono per anni risposta all’istanza di applicazione di una misura alternativa alla detenzione. Si tratta, nel complesso, di un numero esorbitante, che ormai si avvicina alle 300.000 persone e che il sistema dell’esecuzione penale e la magistratura devono poter gestire, dentro e fuori dal carcere, con adeguate risorse e personale formato.

Questi numeri palesano la necessità e l’urgenza di interventi normativi e di amministrazione attiva, volti a rendere più efficiente l’esecuzione penale, a ridurre il sovraffollamento carcerario, a migliorare le condizioni di vita dei detenuti e a garantire il rispetto dei loro diritti, anche sotto il fondamentale profilo dell’assistenza medica, psichiatrica e psicologica. Non è un caso che – come riferisce il Garante Nazionale – il 77% dei suicidi si è verificato in sezioni chiuse. Occorre maturare, a tutti i livelli, la consapevolezza che sul carcere, sugli uffici di esecuzione penale esterna e sugli uffici della magistratura di sorveglianza, che versano in situazione di perdurante e grave carenza di organico, devono essere investite adeguate risorse del bilancio pubblico.

La realtà qui sinteticamente ricordata, pur lontana dai riflettori, è da tempo ben nota a quanti, in situazione di disagio quando non di degrado, lavorano ogni giorno per l’amministrazione pubblica dell’esecuzione penale, dentro e fuori le mura di un carcere. Un pensiero va in particolare a quanti, tra il personale dell’amministrazione penitenziaria e della Polizia penitenziaria, lavorano con impegno e dedizione ogni giorno, anche e proprio per sventare i tentativi di suicidio dei detenuti. Non va dimenticato, d’altra parte, che il profondo disagio del lavoro in carcere è testimoniato anche dal dato dei suicidi degli agenti della polizia penitenziaria, che quest’anno sono stati sette, di cui uno, all’Ucciardone di Palermo, sul muro di cinta del carcere.

Il Paese ha l'urgenza di adoperarsi per rendere l'esecuzione della pena non solo efficiente ed efficace sul piano della prevenzione, ma anche e non secondariamente compatibile con il suo volto costituzionale, improntato ai principi di umanità, finalismo rieducativo ed estrema ratio della detenzione . Continuare a introdurre nuovi reati ea inasprire le pene, senza considerare che il carcere e le sue alternative non sono risorse illimitate, sarà privo di conseguenze sul piano dell'effettività dei principi su cui si fonda il nostro sistema giuridico e finanziario sotto il profilo della mera deterrenza. D'altra parte, senza una riduzione cospicua del numero dei protetti e dei seri investimenti sull'esecuzione penale esterna (UIEPE) e delle forme connesse di assistenza sociale, la situazione, già insostenibile, potrà solo peggiorare. Senza tralasciare che l'affollamento penitenziario è irrobustito dal frequente (e, talvolta, eterodosso) ricorso alle misure cautelari custodiali anche di lunga durata ( oltre il 40% dei detenuti suicidatisi nel 2024 si trovava in carcere in attesa del giudizio di primo grado , ovvero quale appellante o ricorrente per cassazione).

In linea con la tradizione dell'Illuminismo italiano, che ricordiamo nel 260° anniversario della pubblicazione dell'opera seminale “Dei Delitti e delle pene” di Cesare Beccaria , la sensibilità verso l'umanizzazione della pena rappresenta un tratto distintivo del nostro impegno di giuristi. Per questo, anche e proprio in questi giorni, che per molti ma non per tutti sono di festa, ci sentiamo in dovere di richiamare l'attenzione su ciò che è facile prevedere sin d'ora: senza azioni concrete e una chiara e generalizzata presa di coscienza, il 2025 dell'esecuzione penale segnerà, con ogni probabilità, un altro triste record, di cui il Paese non potrà che vergognarsi. Il nostro auspicio è che ciò non accada e siamo disponibili a tal fine a collaborare in ogni sede, fornendo un apporto di scienza, conoscenza ed esperienza.

Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale

(Il Presidente, Prof. Gian Luigi Gatta)

Associazione tra gli Studii del Processo Penale “GD Pisapia”

(Il Presidente, Prof. Adolfo Scalfati)