PHOTO
«Allora Maria dov'è finita?» : dicono, ma chi sa se è vero, che un parente di Maria Fresu sia sbottato così quando mercoledì sera Michele Leoni, presidente della corte d'assise di Bologna che sta processando l'ex Nar Gilberto Cavallini per la strage del 2 agosto 1980, ha letto l'ordinanza con la quale la corte rifiuta nuove perizie per verificare di chi siano i resti sinora attributi a Maria Fresu.
La donna è una delle 85 vittime della strage. Il corpo non è mai stato ritrovato. Il lembo facciale di una vittima letteralmente polverizzata dall'esplosione è stato per quasi 40 anni attribuito a lei. L'esame del DNA, disposto solo nei mesi scorsi, ha dimostrato che così non è, ponendo dunque due quesiti: che fine ha fatto la salma di Maria Fresu e a chi appartiene quel lembo facciale. E' inevitabile infatti chiedersi se non appartenesse a una ottantaseiesima vittima, forse la persona che trasportava l'ordigno essendo altrimenti difficilmente spiegabile un effetto così devastante dell'esplosione.
Per accertare l'eventualità che quel lembo appartenesse invece a una delle altre vittime erano necessari alcuni esami del dna. Non moltissimi: sette.
Tanti sono infatti i corpi rinvenuti ai quali potrebbero essere fatti risalire quei macabri resti. La difesa di Cavallini aveva chiesto quei sei esami del DNA. La corte ha negato le analisi perché «la perizia sul DNA delle presunte spoglie di Maria Fresu non ha dato esiti univoci e sicuri quali ad esempio la riconducibilità di tali resti a una sola persona» e di conseguenza «l'eventuale espletamento di altre perizie sul DNA porterebbe comunque a un binario morto».
E' una spiegazione in realtà insostenibile.
E' vero infatti che i presunti resti della Fresu sui quali è stato operato l'esame del dna corrispondono a due persone diverse, nessuna delle quali era Maria Fresu. Ma mentre per alcuni resti, le dita, è facilmente presumibile che si tratti di una conseguenza del caos del 2 agosto 1980 dopo l'attentato, per la faccia non è così.
L'analisi del DNA si sarebbe dunque potuta fare tranquillamente solo sul reperto realmente significativo e misterioso.
La difesa ritiene di avere ancora una freccia al proprio arco. Uno dei legali di Cavallini, l'avvocato Alessandro Pellegrini, ha presentato mercoledì una richiesta di rimborso per 348mila lire avanzata nell'ottobre del 1980 dal perito della procura Pierlodovico Ricci per le pellicole, lo sviluppo e la stampa, di 112 fotografie delle vittime.
Le foto esisterebbero e sarebbero contenute in un faldone riservato e non consultabile, per le norme sulla privacy, depositato al Comune di Bologna. In quelle foto, inspiegabilmente mai entrate nei fascicoli processuali, si distinguerebbe, secondo chi le ha viste, una donna senza volto e di qui la difesa spera di poter riaprire il capitolo chiuso ieri dal presidente della Corte.
In realtà la corte d'assise potrebbe facilmente definire questo tipo di indagini ' non pertineti'.
Il processo a Cavallini deve infatti solo accertare l'eventuale complicità dell'ex Nar con i tre terroristi già condannati per la strage e che da sempre si dichiarano innocenti: Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini.
E' stata però la stessa corte ad allargare il raggio del processo, in tutta evidenza con l'obiettivo di trovare nuove e inconfutabili prove a sostegno di una sentenza universalmente ritenuta molto fragile.
Lo stesso esame del DNA eseguito sui resti attribuiti erroneamente alla Fresu è conseguenza di accertamenti che miravano a individuare ulteriori elementi a carico dei Nar.
E' capitato invece che le nuove indagini hanno offerto solo elementi in senso opposto, a partire dall'individuazione di una donna che alloggiava in un Hotel di fronte alla stazione in quei giorni con un documento cileno falso proveniente da una partita di documenti cileni falsi già adoperata più volte dall'organizzazione del terrorista ex Fplp Carlos, alla quale è seguito l ritrovamento di un secondo passaporto simile.
Senza trarre conclusioni che sarebbero comunque indebite e azzardate, il processo in corso conferma però una situazione già vista più volte. Nonostante i numerosissimi elementi che confutano la sentenza contro i Nar ( al termine di un iter di cinque processi con verdetti contraddittori), nonostante magistrati di altre procure che hanno indagato su vicende parallele siano convinti dell'innocenza dei Nar ( dal pm milanese Salvini, che ha indagato su piazza Fontana, a Rosario Priore, il magistrato che più di ogni altro si è occupato di terrorismo palestinese, sino a Otello Lupacchini, che ha indagato sulla banda della Magliana), sia l'associazione dei parenti delle vittime della strage che la procura di Bologna sembrano considerare un insulto qualsiasi dubbio sulla colpevolezza dei Nar e oppongono una resistenza incomprensibile a ogni tentativo di proseguire le indagini in altre direzioni.