Proprio ieri, sulle pagine de Il Dubbio, si parlava di un silenzio che grida. Quello ad esempio imposto a La Fenice, il giornale nato tra le mura del carcere di Ivrea, spento il 7 gennaio con un comunicato asettico che invoca «questioni burocratiche». Ma non è un caso isolato. Da Nord a Sud, progetti editoriali creati per dare voce a chi è rinchiuso soccombono a divieti, censure ed espulsioni. La novità è che un appello corale per il rispetto dei diritti delle persone detenute e degli operatori dell’informazione arriva dal Coordinamento dei giornali e delle realtà della comunicazione attive nelle carceri italiane.

In una lettera aperta indirizzata al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e alle sue autorità, tra cui la Capo reggente del Dap Lina Di Domenico e il Direttore generale detenuti Ernesto Napolillo, i firmatari denunciano «ostacoli e barriere» che limitano il diritto all’espressione e al dialogo tra carcere e società esterna. La missiva parte dal richiamo all’articolo 18 dell’Ordinamento penitenziario, che attua l’articolo 21 della Costituzione, garantendo ai detenuti il diritto a «una libera informazione e di esprimere le proprie opinioni». Eppure, come sottolineano i firmatari, «questo diritto è tutt’altro che rispettato». Nonostante anni di impegno nel raccontare le carceri «con onestà», i giornali e i media penitenziari si scontrano con restrizioni che «condizionano pesantemente il nostro lavoro».

Nella lettera aperta vengono poste con forza cinque domande, tutte rivolte alle istituzioni, che mettono in luce alcune criticità fondamentali dell’informazione prodotta dentro le carceri. La prima riguarda la possibilità per i detenuti di firmare i propri articoli con nome e cognome. Si chiede se sia davvero legittimo impedire questa scelta, considerando che la tutela della privacy è già garantita dalla direzione del giornale.

Un altro nodo tocca il tema della censura preventiva: perché, se un giornale carcerario ha un direttore responsabile – che risponde anche penalmente di ciò che viene pubblicato – in alcune strutture è ancora obbligatoria una pre- lettura degli articoli da parte delle direzioni o di fantomatiche «istanze superiori»? Si mette poi in discussione la fiducia riposta nei volontari e negli operatori autorizzati: com’è possibile che queste stesse persone, che spesso portano avanti con serietà e impegno i progetti editoriali, non siano considerate affidabili e ritenute responsabili del materiale prodotto?

Non manca il tema delle tecnologie, vietate nella maggior parte degli istituti: ci si interroga su come si possa svolgere un vero lavoro redazionale senza strumenti basilari come un registratore, una macchina fotografica o l’accesso a Internet. La lettera richiama in proposito una circolare del Dap del 2015, che definiva proprio la connessione alla rete «un indispensabile elemento di crescita personale», e chiede che quelle parole si traducano finalmente in autorizzazioni concrete. Infine, viene denunciata la lentezza delle autorizzazioni burocratiche: articoli scritti nel pieno dell’estate, che parlano del caldo soffocante nelle celle, vengono pubblicati soltanto a Natale, vanificando di fatto ogni intento informativo.

I firmatari della lettera sottolineano quanto esperienze come podcast, trasmissioni radio e televisive, laboratori di scrittura e progetti editoriali rappresentino una vera e propria ricchezza culturale, da difendere e valorizzare. Per questo motivo, rivolgono un appello diretto al Dap: chiedono un confronto, un incontro concreto per discutere insieme di questi temi, spesso affrontati solo in modo astratto o frammentario.

Tra le criticità evidenziate, emerge soprattutto il divario tra le potenzialità dell’informazione prodotta all’interno delle carceri e le restrizioni che ne ostacolano lo sviluppo. Una distanza resa ancora più stridente dalla mancata applicazione di norme già esistenti, che restano sulla carta senza mai tradursi in pratiche operative. A firmare l’appello sono 21 realtà attive negli istituti penitenziari di tutta Italia, una vera rete nazionale che lavora da anni per fare dell’informazione uno strumento di espressione, crescita e dialogo.

Ecco l’elenco completo: Ristretti Orizzonti di Padova, direttrice Ornella Favero, Ristretti Parma, responsabile Carla Chappini, Cronisti in Opera di Milano- Opera, direttore Stefano Natoli, Voci di dentro , direttore Francesco Lo Piccolo, Non tutti sanno di Rebibbia, responsabile Roberto Monteforte, Carte Bollate di Milano Bollate, direttrice Susanna Ripamonti, Web radio caffeitaliaradio. com, responsabili Davide Pelanda e Dario Albertini, Liberi dentro Eduradio& TV, responsabile Antonella Cortese, Salute inGrata 2 CR Milano Bollate, responsabile Nicola Garofalo, sito laltrariva. net, responsabile Francesca de Carolis, Non solo Dentro, inserto dal carcere di Trento di Vita Trentina a cura di Apas, direttore Diego Andreatta, Mondo a quadretti di Fossombrone ( PU), responsabile Giorgio Magnanelli, Ristretti Marassi, responsabile Grazia Paletta coordinatrice con Arci Genova, Altre Storie, pubblicato all’interno del giornale Il Cittadino di Lodi, referente Andrea Ferrari, Astrolabio di Ferrara, curatore Mauro Presini, Ponti del “Santa Maria Maggiore” di Venezia, supervisore Maria Voltolina, Gazzetta dentro di Quarto d’Asti, referente Domenico Massano, NeValeLaPena, del Rocco D’Amato di Bologna, referente Federica Lombardi, Operanews, di Milano Opera, direttore responsabile Renzo Magosso, Itaca di Verona Montorio, referente Anna Corsini.

L’appello conclude con un invito al dialogo: «Se l’attività giornalistica nei penitenziari è ritenuta una risorsa importante per il dialogo tra realtà detentiva e società esterna, perché le Istituzioni non semplificano le procedure e accorciano i tempi di tante estenuanti attese?». La palla passa ora al Dap, chiamato a rispondere a una sfida che unisce diritti costituzionali, reinserimento e libertà di stampa.