PHOTO
Il Viminale non avrebbe potuto mettere la parola fine all’accoglienza a Riace. A stabilirlo è il Tar di Reggio Calabria, che ha accolto il ricorso presentato dal vicesindaco del Comune dei bronzi, Giuseppe Gervasi, annullando il provvedimento con il quale, ad ottobre scorso, pochi giorni dopo l’arresto del sindaco Domenico Lucano, il ministero dell’Interno aveva disposto il trasferimento dei migranti, riportando il paese di nuovo allo spopolamento. Secondo i giudici, però, quell’atto era illegittimo. Non perché le criticità non fossero reali, ma perché quelle stesse criticità non avevano impedito la proroga del progetto. E, soprattutto, il ministero dell’Interno non avrebbe mai contestato puntualmente al Comune le irregolarità rilevate, né avrebbe assegnato un termine entro cui risolverle. «Questo conferma che è stata un’azione studiata per bloccare i fondi ed impedire di sovvertire il messaggio negativo associato, per fini elettorali, all’immigrazione», spiega Lucano al Dubbio. La sentenza. Stando al documento firmato dai giudici, non esiste «un atto che presenti le caratteristiche» richieste dal decreto ministeriale per procedere con la revoca del contributo. Tutto ha a che fare con due note del Viminale: una del gennaio 2017, con la quale, in vista del nuovo triennio di finanziamento, poi approvato, il Comune venne sollecitato a comunicare le iniziative per «ricomporre con immediatezza tutti gli aspetti di criticità emersi durante le visite ispettive», e una di luglio 2018, con la quale venne comunicato l’avvio del procedimento di revoca del contributo. Per i giudici è «palesemente irragionevole e contraddittorio ritenere che, ad appena un mese dal decreto con il quale era stato rifinanziato il “sistema Riace”», il Viminale abbia diffidato l’ente ed avviato il procedimento per revocare i fondi. Come se un procedimento già chiuso fosse stato riaperto appositamente e senza spiegazioni e modificato nel suo contenuto. Il tutto con un atto che, in ogni caso, «violerebbe» le regole di «trasparenza» e «partecipazione al procedimento amministrativo degli interessati», contestano i giudici, in quanto il Viminale non avrebbe precisato «né le contestazioni che avrebbero potuto portare alla decurtazione del punteggio, né la consistenza delle decurtazioni ipotizzate e neppure il termine entro il quale porre rimedio alle inosservanze rilevate». Le contestazioni. Le criticità segnalate dal Viminale erano «troppo generiche», anche quando ritenute decisive nella scelta di revoca, e, «pertanto, avrebbero dovuto essere previamente contestate con ben altra puntualità». La critica dei giudici è forte: l’amministrazione statale si sarebbe limitata a vuoti formalismi procedimentali, senza rispettare «le forme che essa stessa, peraltro, si è data», prorogando in un primo momento il progetto e poi decidendo, per le stesse ragioni, di cassarlo. Con una «contraddittorietà», affermano i giudici, «manifesta», in quanto le difficoltà del “sistema Riace” erano note e risalenti, almeno, al precedente triennio, ma il procedimento ispettivo non si era concluso con la revoca del finanziamento, bensì con la sua proroga, ragione per cui il Comune non poteva che dedurne il superamento delle criticità. Ma non solo. I risultati di quelle ispezioni, affermano i giudici, non sono stati inoltrati alla Commissione deputata alla valutazione dei progetti o, se ciò è stato fatto, non si è provveduto ad impedire la proroga del finanziamento, peraltro richiesto dal Comune il 30 ottobre 2016, chiaro «indice dell’illegittimità» dell’atto del ministero. «L’autorizzazione alla prosecuzione del progetto può, dunque, trovare spiegazione solo con “la massima benevolenza dell'amministrazione”» che ha anche messo a disposizione del Comune «risorse umane e finanziarie», nonostante il caos gestionale ed operativo «che emerge con chiarezza dagli atti di causa». «I riconosciuti ed innegabili meriti del “sistema Riace”», secondo i giudici, avrebbero «giocato un ruolo decisivo nel ritenere superate (e non penalizzanti) le criticità», che non potevano essere recuperate a posteriori, «per motivare la revoca, se non rinnovando per intero il procedimento». Alla luce della documentazione, «il progetto avrebbe dovuto essere eventualmente chiuso alla scadenza naturale. Averne autorizzato la prosecuzione, lasciando la gestione di ingenti risorse pubbliche in mano ad un’amministrazione comunale, per quanto ricca di buoni propositi e di idee innovative, ritenuta priva delle risorse tecniche per gestirle in modo puntuale ed efficiente, appare fonte di danno erariale», da segnalare alle autorità competenti. Le criticità emerse dalle ispezioni, secondo i giudici non sono attribuibili alla mancata erogazione delle risorse, che dipenderebbe da atti di rendicontazione non tempestivi o incompleti. Così come non sono colpa del ministero le condizioni degli alloggi, l’intempestivo aggiornamento della banca dati, la mancata redazione di progetti individualizzati e l’individuazione degli enti gestori. Ma nonostante ciò, «che il “modello Riace” fosse assolutamente encomiabile negli intenti ed anche negli esiti del processo di integrazione - si legge - è circostanza che traspare anche dai più critici tra i monitoraggi compiuti». Insomma, Mimmo Lucano uno, Matteo Salvini zero. Ma il decreto sicurezza ha ormai cambiato le sorti dell'accoglienza e Riace è di nuovo vuota. «È una notizia positiva - commenta Lucano - Non ci credevo, pensavo ormai fosse un’azione avvolgente quella della magistratura da un lato e quella del Viminale all'altro. La giustizia è arrivata, ma solo dopo i danni. Il progetto è stato chiuso, la gente trasferita e questo era l’obiettivo: non permettere ad una delle esperienze più avanzate d’accoglienza in Italia di andare avanti. Era un messaggio di umanità, ma hanno voluto silenziarlo, perché intorno all’immigrazione l’unico messaggio che si vuole dare è solo e unicamente quello del dramma sociale e del pericolo, che ha costruito consenso elettorale». La partita, chiaramente, non è ancora chiusa: il Viminale, quasi sicuramente, impugnerà la decisione ma le possibilità che i soldi mai versati nelle casse del Comune possano rientrare sono ora maggiori. Ciò che emerge dalla sentenza, aggiunge Gervasi, «sono la bontà del modello e del Comune in ciò che ha fatto. Certo, non è una sentenza definitiva, ma alleggerisce la posizione di Lucano, la mia e di chi verrà dopo. Le criticità ci sono, molti punti del ricorso non sono stati accolti. Ma l’atto con cui Riace è stata smantellata era comunque illegittimo».