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Enzo Tortora in aula in una pausa del processo a Napoli (Lapresse)
Angelo Spirito è descritto da diversi suoi colleghi in Cassazione come un eccellente giudice. Dotato peraltro di straordinarie capacità organizzative, virtù non residuale in tempi in cui compito della giustizia, reclama l’Ue, è sbrigarsi. Non è in gioco dunque il valore del magistrato che, come sappiamo, ha vinto in Consiglio di Stato il ricorso avverso la nomina di Pietro Curzio a primo presidente, e che ha rivendicato quella nomina per sé (oltre a ottenere ragione nella pretesa di rivendicare titoli superiori anche per le funzioni di aggiunto rispetto alla collega Margherita Cassano). Spirito è un magistrato importante, di prestigio ed esperienza. Vanta anche, nel proprio passato, l’attività di (giovanissimo) giudice istruttore al processo contro la Nuova camorra organizzata del 1983. Non solo il più importante maxiprocesso ordito contro la malavita napoletana, ma anche quello che portò all’assurda e ingiusta condanna di Enzo Tortora. È noto anche come Spirito, al pari dei magistrati effettivamente coinvolti in quell’errore giudiziario, sia stato ritenuto, all’epoca, non responsabile sul piano disciplinare né, prima ancora, perseguibile riguardo a profili di incompatibilità ambientale. Va chiarito come Spirito non si occupò mai direttamente di Tortora, sul quale invece lavorò Giorgio Fontana, che dopo lasciò volontariamente la toga. Non vogliamo in ogni caso tornare sul punto, qui, ma chiederci una cosa: siamo proprio sicuri che il fatto di potersi trovare con un primo presidente di Cassazione anche solo indirettamente ricollegabile al caso Tortora sia stato del tutto ininfluente, rispetto alla decisione compiuta dal Csm, che ha appunto preferito, a Spirito, Curzio e Cassano? È chiaro come il maxiprocesso che costò la condanna di Tortora non rappresenti una colpa, una macchia curricolare. Però poteva ipotizzarsi una (pur concretamente immotivata) difficoltà, per il Csm, in termini di rappresentazione pubblica. Non lo sappiamo, nessuno degli interessati ne parla. Non sappiamo neppure se tale valutazione sia stata assorbita nell’ambito della nota discrezionalità valutativa che ora il Csm rivendica. In fondo, la discrezionalità che è esercitata anche per ragioni politiche sarebbe persino un valore da difendere, in vista della stessa riforma. Il punto è se tale discrezionalità è associata ad esigenze dichiarate oppure no. Se di valutazioni come quelle compiute per il vertice della Cassazione si possa parlare in modo esplicito o se la magistratura debba rivendicare l’autonomia anche in termini di inaccessibilità delle proprie scelte. Perché in tal caso, la difesa a oltranza della discrezionalità sarebbe sì legittima, ma certo un po’ più debole.