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Su qualche giornale ( neppure tutti, e i pochi con rarefatti articoli in pagine interne) c’era la notizia che sette persone ( due siriani, un libico, quattro marocchini) sono assolti dall'accusa di omicidio colposo plurimo, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e naufragio. La procura di Palermo aveva chiesto l'ergastolo: ritenuti responsabili del naufragio di un barcone e relativa morte di almeno 56 persone. Il processo ( luogo dove si forma la prova, dove ci si deve convincere se gli elementi raccolti sono sufficienti per una condanna, oppure “l’impianto accusatorio” non regge) è stato seguito poco, e male da tv e giornali; una sorta di regola, tanto più applicata quanto il procedimento giudiziario è “storico”, “importante”, “eccezionale”; tantissimi esempi si possono fare, a conforto di questa affermazione. Questo per dire che la lettura delle cronache dei giornali o degli altri mezzi di comunicazione non consente di affermare se aveva ragione la procura, o il tribunale che ha assolto. Come sia, non è questo, il punto che qui interessa.
Il punto è che la strage si è consumata nell'agosto del 2015. Il primo verdetto assolutorio è del 26 febbraio 2019: quattro anni per stabilire se si sia o no colpevoli di omicidio colposo plurimo, favoreggiamento clandestino dell'immigrazione, naufragio. Per inciso: cinque dei sette sono rimasti in carcere fino al giorno della sentenza. E non è finita: c’è la possibilità che fra 90 giorni, quando saranno note ( forse) le motivazioni, la procura palermitana impugni la sentenza. Ci vorrebbe un Marco Pannella, un Leonardo Sciascia, per evidenziare la “normale” assurdità, il grottesco paradosso di questo quotidiano modo di ( non) amministrare la giustizia. Ci vorrebbe anche un ministro della Giustizia capace, di fronte a notizie e fatti come questi, di un sussulto di dignità; e, anche, di farsi domande, cercare risposte. Ci vorrebbero. Non ci sono.