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Due suicidi in cella a pochi giorni di distanza. L’ultimo martedì scorso nel carcere di Monza, ma non è stato un gesto inaspettato. Si chiamava Mario Pagano, 46enne, da poco arrestato perché aveva preso a martellate la moglie e dopo il gesto aveva tentato di uccidersi buttandosi dal balcone. Al momento del fermo era stato trasferito nel reparto Psichiatria. Qui aveva cercato un’altra volta di togliersi la vita.
Dopo la convalida dell’arresto, il magistrato aveva disposto il suo trasferimento nel penitenziario monzese, attrezzato con un reparto dedicato a detenuti con problemi psichici. Ed è qui che martedì mattina è stato rinvenuto privo di vita. Stando alle informazioni diramate dall’Agenzia regionale emergenza urgenza, il personale medico e paramedico prontamente intervenuto all’interno del carcere, ha tentato la rianimazione cardiopolmonare dell’uomo, prima di dichiararne il sopravvenuto decesso.
Due giorni prima, domenica pomeriggio, invece è stata la volta di un detenuto, 35enne, recluso da febbraio nel carcere di Ivrea dove stava scontando una pena definitiva a circa tre anni. Lì, secondo quanto è trapelato, si sarebbe suicidato tramite impiccagione. L’uomo condivideva la cella con il fratello, perché assieme a lui era stato condannato per una rapina commessa nel 2006, quando aveva solo 22 anni.
Giovedì 21 novembre, invece, si è impiccato nel carcere di Bologna un romeno di 27 anni, Costantin Fiti, il quale era stato condannato all'ergastolo per l'omicidio di un pensionato di 73 nel corso di una rapina. Parliamo del secondo suicidio nel corso del 2019 nel carcere di Bologna nel giro di qualche mese. Quella volta, a giugno, si era trattato della tragica vicenda personale di Stefano Monti, ancora in attesa di giudizio, accusato di omicidio che secondo i PM avrebbe commesso nel 1999. Si era sempre proclamato innocente, ma Monti aveva deciso per sé prima che lo facessero i giudici. Aveva atteso che si aprissero le celle della Dozza e che tutti i detenuti uscissero ' al passeggio', come si dice in carcere. Poi era andato nel bagno della sua cella e si era impiccato con i lacci delle scarpe.
Tante, troppe morti in carcere. Dall’inizio dell’anno siamo giunti a 45 suicidi su un totale di 120 morti. Ce ne sarebbero stati molti di più, ma fortunatamente vengono sventati grazie all’intervento degli agenti penitenziari. Un tentativo di suicidio impressionante è avvenuto tre giorni fa al carcere campano di Santa Maria Capua Vetere. Un detenuto di 40 anni aveva provato a togliersi la vita bevendo della candeggina, ma fortunatamente è stato soccorso dagli agenti penitenziari ed è stato trasportato d’urgenza all’ospedale Moscati di Aversa.
Tanti sono i motivi di chi arriva a compiere il gesto del suicidio, alcuni casi anche prevedibili come quelli che hanno problemi psichiatrici. Ma non solo. Nell’epoca del mantra della “certezza della pena”, si è perso di vista che in carcere le persone ci vanno per davvero, anche per piccolissimi reati. Buttandoli in una cella non siamo in grado di intercettarne la disperazione. Infatti, nonostante che il numero dei reati sia in calo, oramai i detenuti hanno superato la soglia delle 60mila unità. Nessuna attenzione individuale può essere loro garantita dal sistema e le vite umane continueranno a sfuggire dalle maglie.
Come per il recente del suicidio avvenuto nel carcere di Viterbo. Parliamo di Mohamed Ataif, di soli 24 anni. Una condanna a un anno di carcere. Data la scarsa entità della pena, Mohamed in carcere non ci sarebbe potuto proprio entrare, ma non avendo un domicilio il giudice ha scelto per la detenzione. Sarebbe tornato libero tra pochi mesi. Ha deciso, per la disperazione, di uscire prima. Ma in una bara.
Mohamed non aveva ricevuto né telefonate né fatto colloqui. Condannato alla solitudine in carcere, fuori dal perimetro della prigione c’erano persone che avrebbero voluto parlargli e fargli visita. Ma per difficoltà burocratiche gli era stato impedito dalle difficoltà burocratiche. Quindi, tanti sono i motivi per il quale un detenuto si suicida e quindi tanti sono i rimedi di prevenzione che il sistema penitenziario potrebbe adottare.
Proprio per questo l’associazione Antigone aveva inviato a tutti i componenti delle commissioni Giustizia di Camera e Senato una proposta di legge volta a prevenire i suicidi in carcere. Uno dei rimedi proposti è proprio il potenziamento dei contatti con gli affetti esterni. L’affettività che rientrava anche in uno dei decreti della riforma dell’ordinamento penitenziario: purtroppo disatteso.