Carlo
Nordio, Maria Elisabetta Casellati, Francesco Paolo
Sisto. I giochi per occupare la casella del ministero della Giustizia si riducono a questi tre nomi, il giorno dopo l’esplicita richiesta di Silvio Berlusconi di mettere mano su Via Arenula.
Sisto o Casellati, un forzista come ministro della Giustizia
Il Cav punta su due nomi che per lui rappresentano una garanzia: l’ormai ex presidente del Senato, che l'11 marzo del 2013 è scesa in piazza a Milano a protestare contro i magistrati che indagavano sul leader di Forza Italia, e il sottosegretario alla Giustizia del Governo Draghi, suo avvocato e capace di gestire il difficilissimo fascicolo della riforma targata Marta Cartabia mediando tra i desiderata di tutti i partiti di maggioranza. Giorgia Meloni, alle prese con i diktat degli alleati, sembra per il momento voler lasciare il fascicolo Giustizia in un cassetto. Troppe le matasse da sbrogliare per arrivare alla lista finale dei ministri, nonostante quello di Nordio sia stato uno dei primi nomi proposti dalla premier in pectore nella sua cavalcata verso Palazzo Chigi.
Il preferito della leader di Fratelli d’Italia è, dunque, chiaramente l’ex procuratore aggiunto di Venezia, che cinque anni dopo aver appeso la toga al chiodo ha deciso di scendere in politica, passando prima per la promozione dei referendum sulla “giustizia giusta”. Ma il pressing di Berlusconi, risentito per i no di Meloni - in particolare su
Licia Ronzulli, che il Cav vuole fortemente in Consiglio dei ministri - sembra ora rimettere tutto in discussione. Così il ministero della Giustizia potrebbe diventare una pedina di scambio, la casella da cedere per mettere a posto qualcosa e trovare la faticosa quadratura del cerchio. Via Arenula potrebbe dunque finire molto verosimilmente in mano a Forza Italia. E in ambienti azzurri circola già la voce che sia la presidente del Senato uscente quella in vantaggio. Ma il nome di Casellati non sarebbe particolarmente gradito a Meloni, che dunque potrebbe accettare la nomina di Sisto e calmare gli animi almeno su questo fronte. Questo nonostante la leader di Fratelli d’Italia non sia d’accordo con alcune delle riforme che lo stesso Berlusconi metterebbe tra le priorità, a partire dalla cancellazione della legge Severino, la norma che fece decadere il Cav nel 2013 e che, in caso di condanna nel processo Ruby ter, potrebbe farlo uscire da Palazzo Madama poco dopo averci rimesso piede. Meloni non ha nascosto la sua contrarietà a questa possibilità, durante la raccolta firme per i referendum, “eliminando” dai suoi gazebo i quesiti sulle misure cautelari e sulla legge Severino. Cancellare quest’ultima, aveva infatti evidenziato, sarebbe «un passo indietro nella lotta alla corruzione e rischierebbe di dare il potere ad alcuni magistrati di scegliere quali politici condannati far ricandidare e quali interdire dai pubblici uffici». Un punto di distanza rispetto alla posizione di Nordio, convinto invece che la norma «non serve assolutamente a nulla e confligge con la presunzione di innocenza che è prevista dalla Costituzione». L’ex magistrato, durante le sue interviste, non ha mai nascosto di preferire un ruolo più pragmatico, come quello di presidente della Commissione giustizia, «in quanto è lì che si elaborano le leggi». Ma è comunque pronto, qualora dovesse ricevere l’incarico, a fare la sua parte come ministro.
Bongiorno fuori dai giochi. E Meloni potrebbe rinunciare a Nordio come ministro della Giustizia
«Il primo atto che farei - ha dichiarato all’Adnkronos poco prima di mettere piede alla Camera ieri - sarebbe accelerare al massimo i processi civili e penali perché la giustizia, in questo momento, è anche un fatto economico e in una fase di grande crisi finanziaria ed economica questo potrebbe avere un’efficacia positiva e immediata. In questo momento l’impatto economico è quello più urgente». Un linguaggio che piace a Meloni, concentrata, in questo momento, più sulle urgenze economiche che sulle riforme della Giustizia. Che potrebbero comunque partire per via traversa, ovvero attraverso le riforme costituzionali annunciate da Fratelli d’Italia e rispolverando
l’antico progetto di Marcello Pera, quotato come ministro delle Riforme Costituzionali, che prevedeva due obiettivi: “Unicità della giurisdizione” e “Separazione delle carriere. Diversificazione del Consiglio superiore della magistratura. Fissazione delle priorità nell’esercizio dell’azione penale”. Quel che è certo, dunque, è che per ora a rimanere fuori dai giochi è la Lega, che a via Arenula avrebbe piazzato molto volentieri Giulia Bongiorno. Ma la partita a poker del Carroccio con Giorgia Meloni si sta svolgendo su altri piani, mentre il confronto tra i leader continua...