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Finita com’era ovvio che finisse. L’adunanza generale del Consiglio di Stato ha votato ieri «quasi all’unanimità» parere favorevole alla destituzione del consigliere Francesco Bellomo, il magistrato accusato di aver imposto assurdi dress code alle allieve di un suo corso di formazione, e di averle sottoposte a più o meno sottili ricatti sessuali. Con questa deliberazione, ci si avvicina al passaggio finale, che dovrebbe consumarsi già domani: ovvero la decisione definitiva del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa ( Cpga), già convocato da tempo per ordini del giorno meno “straordinari”, ma i cui componenti oggi saranno “allertati” sull’inserimento di un nuovo “punto”, il caso Bellomo, dopo che sarà stato formalmente depositato il parere dell’adunanza. A meno che qualcuno tra 14 componenti ( uno, il “laico” Pierluigi Mantini, si è da poco dimesso) non contesti l’inserimento della questione, si procederà all’ultimo voto, e si può dare ormai per certo che verrà confermata la delibera del 27 ottobre, quando lo stesso Cpga aveva già votato per destituire Bellomo.
Entro domani insomma dovrebbe essere scritta l’ultima parola sulla disgustosa vicenda, almeno per quel che riguarda la magistratura amministrativa. Poi si dovrà attendere ancora qualche giorno affinché Bellomo risulti tecnicamente decaduto dalle funzioni di magistrato: sarà necessario infatti un decreto del Presidente della Repubblica per il sigillo tombale. Tensione? Contrasti? Non si direbbe. Non che quello di ieri fosse un passaggio irrilevante: il parere dell’adunanza generale del Consiglio di Stato è necessario ma non vincolante, eppure se fosse stata approvata una deliberazione sfavorevole alla destituzione, già indicata dal Cpga, quest’ultimo organismo si sarebbe trovato in imbarazzo. In grave imbarazzo, sia perché sarebbe stata evidentemente incresciosa la “resistenza” dell’adunanza ( composta da tutti i consiglieri di Stato) sia perché non sarebbe stato semplice a quel punto confermare la destituzione. Non è un caso se l’incredibilmente farraginosa disciplina del procedimento disciplinare per la magistratura amministrativa preveda che solo per la sanzione più grave, la destituzione appunto, la decisione del Cpga debba ricevere un parere dall’adunanza di tutti i consiglieri di Stato. E ieri, dei 91 magistrati, erano presenti 70.
Incubo archiviato per la ragazza finita in terapia psichiatrica dopo essersi ridotta uno scheletro? Non è detto, e qui entra in gioco ancora l’arabesco normativo che regola gli eventuali illeciti di giudici del Tar e consiglieri di Stato. In base all’attuale disciplina ( stratificatasi sulla scorta di tre diverse fonti, una del 1924, una del 1946 e la più “giovane” del 1982), il procedimento in questione non è “giurisdizionale” ma “amministrativo”. Mentre una sanzione del Csm nei confronti di un magistrato ordinario può esser impugnata solo davanti alle sezioni unite civili della Cassazione, Francesco Bellomo e chiunque nella sua condizione può ricorrere contro la destituzione davanti al Tar del Lazio e, in secondo grado, presso lo stesso Consiglio di Stato dal quale stanno per cacciarlo. I suoi legali lasciano trapelare intenzioni bellicose, impugnative presso tutte le giurisdizioni possibili fino alla Corte europea dei Diritti dell’uomo. Resta il comportamento inappuntabile seguito dal il Consiglio di Stato presieduto da Alessandro Pajno ( che ieri non ha assunto la presidenza, lasciata all’aggiunto Filippo Patroni Griffi, dal momento che l’adunanza era chiamata a decidere su una decisione presa dal Cpga che lui stesso presiede). Norme bizantine alla mano, Palazzo Spada non avrebbe potuto fare più in fretta. Non solo: perché, mentre di qui a qualche ora l’organo di autogoverno ( il Cpga appunto) avrà messo la parola fine sul caso, le due Procure ( Piacenza e Bari) che procedono sul piano penale vero e proprio non sono ancora pervenute alla chiusura delle indagini. Eppure hanno ricevuto l’esposto del padre della vittima nello stesso giorno in cui era stato consegnato a Palazzo Spada. Che, nonostante tutto, l’altro ieri è stato accusato dal Whashington Post di aver cercato di nascondere il caso. Non una parola, del giornalone Usa, sulla magistrautra inquirente ordinaria.