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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 9936, ha accolto il ricorso di Ciro Urciuoli, 64 anni, ergastolano condannato nel 2004 per associazione a delinquere, omicidio e altri reati, annullando l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Torino che gli aveva negato il ripristino della semilibertà. Al centro della sentenza una critica netta alla nozione di «ragionevole certezza» utilizzata dal Tribunale per presumere che Urciuoli fosse al corrente delle attività illecite del figlio, nonostante l’assenza di elementi concreti.
Urciuoli, in regime di semilibertà dal 2018, lavorava nella carrozzeria gestita dal figlio Davide a Torino. Nel febbraio 2024, l’arresto del figlio per traffico di stupefacenti portò alla revoca della misura alternativa, giustificata dalla perdita dell’opportunità lavorativa. A marzo 2024, il Tribunale confermò la decisione, aggiungendo un elemento chiave: la “ragionevole certezza” che Urciuoli, per la frequentazione quotidiana col figlio, sapesse delle sue attività criminali, pur senza prove dirette. A settembre, lo stesso Tribunale respinse una nuova richiesta di semilibertà legata a un’offerta di lavoro presso la cooperativa sociale Dorcas, definendo il ruolo “inappropriato” e sostenendo che avrebbe consentito a Urciuoli di muoversi senza controlli.
I difensori di fiducia, gli avvocati Daniela Maria Rossi e Mauro Scaramozzino, hanno quindi presentato ricorso per cassazione avverso l’indicata ordinanza, articolando un unico motivo con il quale deducono il vizio della motivazione del provvedimento impugnato. La Prima Sezione Penale della corte suprema ha stroncato le argomentazioni del tribunale di sorveglianza, definendole “illogiche e contraddittorie”. I giudici hanno sottolineato come il Tribunale abbia basato il diniego su mere presunzioni, nonostante avesse ammesso l’assenza di condotte colpevoli di Urciuoli e l’impossibilità di pretendere una denuncia contro un familiare. Non è «emerso alcun concreto elemento che consentisse anche solo di sospettare che il ricorrente fosse a conoscenza dell’attività delittuosa perpetrata dal figlio», si legge nella sentenza. Di fatto, la mera frequentazione non può sostituire la prova di una consapevole partecipazione.
La Cassazione ha inoltre criticato la superficialità con cui il Tribunale ha liquidato la nuova proposta lavorativa presso la cooperativa Dorcas, senza valutarne i dettagli organizzativi (orari definiti, tracciabilità degli spostamenti) e ignorando che Urciuoli, in passato, aveva già svolto mansioni analoghe in semilibertà senza violazioni. Da ultimo, è stato rilevato come lo stesso Tribunale, pochi giorni dopo il diniego, avesse concesso a Urciuoli un permesso premio di due giorni, contraddicendo la propria valutazione sulla sua affidabilità.
La sentenza ribadisce un principio cardine: le misure alternative non possono essere negate sulla base di congetture, ma richiedono una verifica rigorosa dei fatti e delle condizioni oggettive. In sintesi emerge che il diniego di semilibertà non si fonda su violazioni commesse dall’interessato, ma su un presupposto lavorativo venuto meno. Spettava al Tribunale accertare l’effettiva idoneità della nuova proposta, non svilirla a priori.
La sentenza della Corte Suprema riaccende il focus sul bilanciamento tra reinserimento e controllo: per la Cassazione, il rigore non deve tradursi in un’applicazione punitiva delle presunzioni, soprattutto quando il condannato ha dimostrato, attraverso relazioni psicologiche e precedenti esperienze, un percorso di riabilitazione. Ora, toccherà al Tribunale di sorveglianza di Torino riesaminare la richiesta, alla luce delle indicazioni della Suprema Corte. Intanto, per Ciro Urciuoli si riapre una speranza, mentre la giustizia ricorda che la “certezza” – ragionevole o meno – non può prescindere dalle prove.