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Era il timore, neppure troppo nascosto, di detenuti e sostenitori della riforma: il sospirato via libera al decreto principale del nuovo ordinamento penitenziario non è arrivato. Nel Consiglio dei ministri di ieri, il provvedimento che elimina le preclusioni nell’accesso ai benefici non è stato neppure esaminato. Torna ai box di via Arenula, per un’ulteriore revisione, che dovrebbe estendere ad altri reati lo sbarramento lasciato per mafia e terrorismo. Sono stati varati, in via preliminare, tre decreti “minori”, su giustizia riparativa, esecuzione minorile e lavoro dei detenuti. Ma il cuore della riforma, che dovrebbe finalmente rafforzare il ricorso alle misure alternative, è ora appeso al filo delle scadenze: Gentiloni pensa di licenziarlo dopo il 4 marzo, con tutti i rischi “politici” del caso. Forte delusione tra i garanti dei detenuti come tra i giuristi e gli intellettuali che hanno sottoscritto l’appello al governo. Ieri il Consiglio dei ministri ha messo in stand by il decreto attuativo della riforma dell’ordinamento penitenziario già esaminato, con tanto di osservazioni, dalle Commissioni giustizia. “Del resto della riforma ce ne occuperemo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi”, ha affermato in conferenza stampa il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni a dieci giorni dalle elezioni politiche. Durante la riunione sono stati invece licenziati preliminarmente tre decreti, in materia di giustizia riparativa, di mediazione tra il reo e la vittima e di revisione dell’ordinamento penitenziario minorile che però dovranno affrontare il complesso iter dell’esame delle commissioni Giustizia delle due camere. In estrema sintesi, la riforma dell’ordinamento penitenziario non è stata ancora approvata come è stato più volte promesso dal guardasigilli e, recentemente, dallo stesso premier Gentiloni. La cosa ha colto tutti di sorpresa. A partire da figure istituzionali come il garante dei detenuti Mauro Palma che non a caso aveva inviato una nota al ministro Orlando per chiedergli di far approvare il testo originale della riforma, senza prendere in considerazione le osservazioni espresse dalla commissione del Senato, le quali rischiano di proporre l’annullamento del sistema degli automatismi che impediscono per ampi settori di detenuti l’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative al carcere. Eppure è proprio questo il decreto che il Cdm ha deciso di mettere nel cassetto. “Ci lascia attoniti e sbalorditi”, scrivono i garanti locali e regionali attraverso una nota del coordinamento nazionale. Duro il commento del presidente dell’Associazione Antigone, Patrizio Gonella: ' Siamo delusi. Speravamo che non vincessero la tattica e la preoccupazione elettorale. Oggi si è sprecata un’occasione storica per riformare le carceri italiane. Speriamo che anche dopo le elezioni le autorità vogliano portare a compimento una riforma storica. Il tempo tecnico c’è. I decreti - scritti da persone della massima competenza e supportati dagli Stati Generali dell’esecuzione penale - anche. Bisogna solamente avere la volontà politica di farlo'.In un solo colpo, con questo atto politico, il governo ha reciso il dialogo messo in moto dal Partito Radicale con il Satyagraha di 10.000 detenuti, di centinaia di cittadini “liberi”, dei Garanti regionali e lo- cali, dello sciopero della fame di Rita Bernardini e con la importante presa di posizione a favore della riforma di oltre 300 giuristi, avvocati, magistrati e professori.Il decreto che è stato messo da parte, infatti, rappresenta il fulcro della riforma. Parliamo principalmente dellaimplementazione delle misure alternative, la modifica del 4 bis e l’assistenzasanitaria. Il più criticato è stato quello relativo al 4 bis. Si tratta di una modifica che, elidendo molti automatismi e presunzioni, restituisce alla magistraturadi sorveglianza il potere di valutare appieno i percorsi individualidei condannati e di bilanciare in concreto, caso per caso, l’obiettivo rieducativo della pena con l’esigenza di tutela dei diritti dei cittadini liberi. Originariamente il 4 bis era nato esclusivamente per mafia e terrorismo, poi, come una calamita, con il passar degli anni ha attirato a se altri reati dicontempla ventati ostativi a seconda le varie emergenze. In sintesi, la modifica consisteva nel far ritornare il 4 bis nella forma originaria e quindi preclusione e automatismo esclusivamente per reati di mafia e terrorismo. Poi, sempre nel decreto non varato, ci sono le misure alternative con la loro valorizzazione ed estensione prendendo in esame anche una maggiore responsabilizzazione del detenuto con l’affidamento in prova: all’atto dell’affidamento ci sarà un piano di trattamento individuale in cui ci sono i rapporti con l’Uepe ( Uffici per l’esecuzione penale esterna) e con altri soggetti pubblici o privati con finalità di cure e sostegno. Viene considerata anche l’assunzione di specifici impegni per attenuare le conseguenze del reato e, cosa molto importante, l’adoperarsi anche a favore della vittima. Altro aspetto importante è che il decreto attuativo anche l’istituzione di una specie di affidamento in prova per le persone con infermità psichica e sarà una sorta di presa in carico terapeutica. Questo e tanto altro per rivedere le norme dell’ordinamento penitenziario a fine di garantire i principi costituzionali. Tutto congelato. Ora se ne parlerà dopo le elezioni del 4 marzo, o addirittura nei prossimi mesi come ha detto il premier Gentiloni.