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«Non vi è prova sufficiente» della corruzione messa in atto dagli ex vertici di Finmeccanica per assicurarsi la vendita di 12 elicotteri all’India. Lo hanno stabilito ieri i giudici della terza sezione della corte d’appello di Milano, presieduta da Piero Gamacchio, che hanno assolto Giuseppe Orsi, ex presidente di Finmeccanica ( ora Leonardo) e Bruno Spagnolini, ex amministratore delegato della controllata Agusta Westland, nel corso dell’appello bis del processo. Orsi e Spagnolini erano accusati di corruzione internazionale e false fatturazioni per il presunto pagamento di una tangente a pubblici ufficiali indiani, che in cambio avrebbero assicurato loro una commessa da 556 milioni di euro. In primo grado, Orsi e Spagnolini erano stati assolti dal tribunale di Busto Arsizio dall’accusa di corruzione e condannati solo per le false fatture. Il processo d’appello aveva invece ribaltato la sentenza, con la condanna dei due manager per entrambi i reati: Orsi a 4 anni e 6 mesi e Spagnolini a 4 anni, con in aggiunta la confisca per equivalente dell’importo di sette milioni e mezzo di euro.
«Non vi è prova sufficiente» della corruzione messa in atto dagli ex vertici di Finmeccanica per assicurarsi la vendita di 12 elicotteri all’India. Lo hanno stabilito ieri i giudici della terza sezione della corte d’appello di Milano, presieduta da Piero Gamacchio, che hanno assolto Giuseppe Orsi, ex presidente di Finmeccanica ( ora Leonardo) e Bruno Spagnolini, ex amministratore delegato della controllata Agusta Westland, nel corso dell’appello bis del processo. Orsi e Spagnolini erano accusati di corruzione internazionale e false fatturazioni per il presunto pagamento di una tangente a pubblici ufficiali indiani, che in cambio avrebbero assicurato loro una commessa da 556 milioni di euro. In primo grado, Orsi e Spagnolini erano stati assolti dal tribunale di Busto Arsizio dall’accusa di corruzione e condannati solo per le false fatture. Il processo d’appello aveva invece ribaltato la sentenza, con la condanna dei due manager per entrambi i reati: Orsi a 4 anni e 6 mesi e Spagnolini a 4 anni, con in aggiunta la confisca per equivalente dell’importo di sette milioni e mezzo di euro. Una decisione che, a fine 2016, i giudici della Suprema Corte avevano nuovamente ribaltato, disponendo un nuovo processo davanti ad una differente sezione della corte d’appello di Milano e contestando ai giudici di secondo grado di non aver rinnovato l’assunzione delle prove dichiarative Secondo la Cassazione, dunque, Orsi e Spagnolini sarebbero stati condannati semplicemente sulla base di una diversa valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rilasciate dai testimoni nel processo di primo grado. Una situazione che determina «un vizio della motivazione della sentenza», si legge nell’annullamento della prima sentenza di secondo grado. Il processo era dunque tornato in appello, dove il pg Gemma Gualdi, che ha sostenuto l’accusa assieme al collega Gianluigi Fontana, aveva ribadito la necessità di confermare le condanne già inflitte, tenendo conto però della prescrizione dell’accusa di false fatture per il 2008. Secondo l’accusa, ci sarebbe stata «un’imponente mole di prove documentali sul giro di denari» finalizzati alla corruzione delle autorità indiane. Prove che, secondo le difese sono state invece travisate, senza riuscire nemmeno, ha affermato l’avvocato Ennio Amodio, difensore di Orsi, a «stabilire la data dell’accordo corruttivo e quali sarebbero stati i denari arrivati al maresciallo Tyagi». Il processo d’appello bis si era aperto con la novità della costituzione di parte civile del Governo indiano e l’ammissione di nuovi atti chiesti dalla Procura generale e dal Ministero della Difesa indiano, tra i quali le procedure del bando di gara che, secondo l’accusa, sarebbe stato truccato a favore della società ita- liana. Ma i giudici hanno accolto la richiesta di assoluzione avanzata dai legali degli imputati, non ravvisando prove del passaggio di denaro utilizzato per la corruzione.
Un’assoluzione tardiva «con tutto il danno che hanno fatto all’azienda, quello che hanno fatto a noi è il meno», ha commentato Bruno Spagnolini dopo la lettura della sentenza. Una decisione che «chiude una vicenda che doveva, fin dalle prime battute, essere chiara anche agli investigatori: non esiste alcun accordo corruttivo, non vi è prova alcuna che il denaro sia pervenuto a Tyagi, né si è mai dimostrato che i funzionari indiani abbiano in qualche modo interferito nella gara - ha commentato Amodio -. Si riafferma così che quella fornitura altro non è stata se non la manifestazione di un successo dell’industria elicotteristica italiana che aveva offerto all’India una delle sue macchine di maggiore efficienza, tanto da essere acquisita anche dall’amministrazione statunitense per i viaggi del presidente Obama».
Orsi e Spagnolini furono arrestati nel febbraio 2013 e scarcerati a maggio dello stesso anno. Secondo l’accusa, gli imputati avrebbe- ro corrisposto somme di denaro non esattamente quantificate al maresciallo Sashi Tyagi, capo di Stato maggiore dell’Indian Air Force dal 2004 al 2007, per compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio, con lo scopo di favorire la Agusta Westland nella gara per l’aggiudicazione dell’appalto per la fornitura al Governo indiano di 12 elicotteri Vvip. Orsi avrebbe incaricato Guido Ralph Haschke, amministratore e socio di Gadit S. A. e di Gordian Services s. a. r. I., e Christian Michel, titolare della Global Service Trade Commerce della Global service Fze, di condurre la trattativa in India. Haschke, assieme al suo socio Carlo Gerosa, per il tramite dei fratelli Juli Tyagi, Docsa Tyagi e Sandeep Tyagi, cugini del Maresciallo Tyagi, sarebbero intervenuti sul bando facendolo modificare in senso favorevole ad Agusta Westland, ottenendo così la riduzione della quota operativa di volo degli elicotteri e consentendo alla società di partecipare alla gara e, quindi, di vincerla. Orsi e Spagnolini avrebbero corrisposto inizialmente ad Haschke e Gerosa la somma di 400mila euro attraverso un contratto di consulenza, concludendo in seguito contratti di ingegneria con le società Ids India e Ids Tunisia, allo scopo di coprire l’intero pagamento, nell’ambito di una operazione commerciale nella quale erano vietati compensi per mediazioni. In primo grado, però, il tribunale di Busto Arsizio aveva stabilito che dal processo non erano emersi riscontri all’accusa di corruzione e che le prove consentivano di inquadrare la vicenda anche attraverso una ricostruzione alternativa e lecita. Non c’era, infatti, prova dell’accordo corruttivo con il pubblico ufficiale straniero, essendo il primo incontro tra Orsi ed Haschke successivo alla decisione favorevole alla Agusta Westland, e non c’era prova neppure della adozione, da parte del pubblico ufficiale straniero, dell’atto contrario ai doveri d’ufficio, essendo stata deliberata in precedenza e da altri la riduzione della quota operativa di volo richiesta per gli elicotteri. Nessun riscontro nemmeno del passaggio di denaro, in quanto la ricostruzione dei flussi finanziari non aveva consentito di riscontrare pagamenti diretti a favore del maresciallo Tyagi. I primi giudici di appello avevano deciso però di condannare i due imputati senza ascoltare nuovamente i testimoni, semplicemente valutando diversamente le prove. Decisione che, dopo la Cassazione, è stata bocciata anche dai colleghi di Milano: le prove di quella corruzione, se mai c’è stata, non sono mai state trovate.