L’interdittiva antimafia continua a far discutere. È ciò anche se tale provvedimento amministrativo, come noto emesso dal prefetto in assenza di un giudicato penale ma solo sulla base del “sospetto”, sia stato recentemente dichiarato esente da profili di illegittimità costituzionale. Con la sentenza 57 dello scorso 26 marzo, la Consulta ha infatti stabilito che l’interdittiva antimafia “non viola il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica privata perché, pur comportandone un grave sacrificio, essendo giustificato dall’estrema pericolosità del fenomeno mafioso e dal rischio di una lesione della concorrenza e della stessa dignità e libertà umana”. Non è stato sufficiente, allora, al titolare di una farmacia essere assolto da tutte le imputazioni per poter riprendere la propria attività. L’ostacolo, al momento insormontabile, è rappresentato proprio dall’interdittiva antimafia.
Un caso esemplare
Questi i fatti. Il dottore G.G. rileva agli inizi degli anni 2000 la farmacia di piazza Caiazzo a Milano. La farmacia, aperta nel lontano 1907, è una delle più antiche in città ed è rifornita di farmaci anche difficilmente reperibili altrove. Per la sua vicinanza alla Stazione centrale è poi un punto di riferimento per le numerose comunità straniere presenti. A marzo del 2018 G.G., originario della provincia di Reggio Calabria ma ormai da tanti anni residente a Milano, viene arrestato con l’accusa di essere legato alla criminalità organizzata. Seconda la Procura di Milano, in particolare, la farmacia subirebbe il condizionamento del boss calabrese Giuseppe Strangio, che avrebbe infiltrato proprio personale al suo interno e impiegato anche soldi provento dallo spaccio di stupefacenti. G.G. è dunque accusato poi di non avere le autorizzazioni necessarie e di truffare con i rimborsi il servizio sanitario nazionale. Oltre al titolare, vengono arresti tutti i dipendenti. In totale sono undici. La farmacia viene posta sotto sequestro e i magistrati nominano al riguardo un curatore. L’Asl, informata dell’indagine, revoca immediatamente tutti i permessi. Le indagini vengono condotte con ampio utilizzo di intercettazioni telefoniche e ambientali. A fine 2018 il gip scagiona Strangio dall’accusa di riciclaggio perché “il fatto non sussicste”. Passa qualche mese e fa lo stesso anche per tutte le altre imputazioni. La farmacia viene quindi dissequestrata, nonostante il parere contrario del Nas carabinieri di Milano che aveva condotto le indagini. La prima sorpresa di G.G, rientrato in possesso della struttura, è che molti farmaci sono stati mal conservati e lasciati scadere con conseguente danno economico ingente. Nonostante tutto, però, G.G., vuole ripartire.
La trafila davanti al Tar
Inizia allora a presentare una serie di istanze alla Prefettura di Milano affinché riveda l’interdittiva antimafia, emessa subito dopo il suo arresto, alla luce dell’assoluzione. Alle istanze, però, nessuno risponde. G.G decide quindi di rivolgersi al Tribunale amministrativo regionale. La doccia fredda arriva nelle scorse settimane. “Le sopravvenute sentenze di assoluzione non sono idonee a modificare il quadro indiziario”, scrivono i giudici amministrativi. Perché nonostante la decisione dei giudici in ambito processuale, il collegio del Tar ritiene comunque che il titolare sia legato da rapporti parentali ad esponenti di spicco della criminalità calabrese. E che dunque perduri il pericolo di condizionamento mafioso dell’attività della farmacia. L’esercizio del servizio farmaceutico esporrebbe a rischi concreti l’ordine pubblico rendendo “recessive” le pur rilevanti ragioni imprenditoriali. Come se non bastasse, il Tar condanna G.G anche al pagamento di 2000 euro di spese.Ad assistere G.G. l’Associazione italiana vittime di malagiustizia (Aivm), i cui vertici hanno già dichiarato che presenteranno appello alla decisione del Tar.