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Il tema dell’assistenza psichiatrica nelle carceri è stato del tutto omesso dalla semi riforma dell’ordinamento penitenziario. Addirittura, nei primi decreti attuativi si è persino cancellato il riferimento allo psichiatra nell’art. 11 dell’Ordinamento Penitenziario, né sono state accolte le proposte avanzate dalla Commissione Pelissero sulle attività per la prevenzione dei suicidi e sulle funzioni delle Articolazioni per la tutela della Salute Mentale. Una linea che ha rimosso in modo del tutto ingiustificato il tema della salute mentale come segnalato da studiosi del diritto e purtroppo dai dati sui suicidi e il disagio di detenuti e polizia penitenziaria. I malati mentali imputabili devono scontare la pena in carcere Per i malati mentali risultati imputabili, la pena deve essere scontata in carcere e al contempo però devono essere assicurate cure adeguate. Il vigente ordinamento penitenziario, nello specifico il regolamento di esecuzione D.P.R 230/2000 agli artt.111 e 112, prevede la possibilità di assegnare detenuti affetti da patologie psichiatriche in sezioni speciali, oggi denominate “articolazioni per la salute mentale”, volte a garantire servizi di assistenza rafforzata per rendere il regime carcerario compatibile con i disturbi psichiatrici. In tali reparti si prevede che la permanenza nelle suddette sezioni non debba essere superiore a trenta giorni. Lo scopo formale è quello di garantire a questi soggetti un’attività di tipo terapeutico e riabilitativo in maniera continuativa e individualizzata. Tuttavia – come si legge nell’ultimo rapporto di Antigone -, «le criticità che si riscontrano all’interno di queste sezioni, in molti casi del tutto sprovviste di adeguati percorsi trattamentali e risocializzanti, finiscono per rendere nulle le intenzioni di cura che il legislatore si era posto come fine ultimo, diventando terreno fertile per il peggioramento delle patologie dei soggetti che ne vengono ristretti».Questo è un aspetto. Ma poi ne subentra un altro. La Corte costituzionale ha equiparato la salute fisica a quella mentale Grazie alla sentenza della Corte costituzionale del 2019, equiparando la salute fisica con quella mentale, anche i detenuti con patologie psichiatriche sopraggiunte durante la detenzione, posso fare finalmente istanza per richiedere misure alternative. Infatti, si legge nella sentenza della Consulta - «la Corte ritiene in contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 32 e 117, primo comma, Cost. l’assenza di ogni alternativa al carcere, che impedisce al giudice di disporre che la pena sia eseguita fuori dagli istituti di detenzione, anche qualora, a seguito di tutti i necessari accertamenti medici, sia stata riscontrata una malattia mentale che provochi una sofferenza talmente grave che, cumulata con l’ordinaria afflittività del carcere, dia luogo a un supplemento di pena contrario al senso di umanità». Ma per rendere operative le alternative alla detenzione occorrono soluzioni concrete. E le indicazioni provengono dalle proposte avanzate dal Tavolo 10 (presidente Francesco Maisto, ora garante di Milano) degli Stati Generali per l’Esecuzione della Pena e poi sostanzialmente riprese dalla Commissione Pelissero (art. 47 septies) le quali indicavano un percorso nel quale «l’interessato può chiedere in ogni momento di essere affida1to in prova ai sensi delle disposizioni di questo articolo per proseguire o intraprendere un programma terapeutico e di assistenza psichiatrica in libertà concordato con il dipartimento di salute mentale dell’azienda unità sanitaria locale o con una struttura privata accreditata». Risulta quindi essenziale la presa in cura congiunta, ciascuno per le proprie competenze. Ma tutto questo, e non solo, non deve essere a spesa zero. Come ha detto recentemente il Garante nazionale Mauro Palma, durante la presentazione del rapporto di Antigone, bisogna proporre le misure alternative indicando strutture e soldi. Altrimenti sono solo parole.