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«Torno a fare il Sindaco - scrive - certo della mia innocenza verso un’accusa che non costituisce un condizionamento della mia attività». Inzia così il post col quale Beppe Sala annuncia ai milanesi il suo ritorno a palazzo Marino.
Il sindaco torna. Giusto così. Beppe Sala sospende la sospensione, riassume pienamente il proprio incarico, appena quattro giorni dopo un passo laterale che il rivale Stefano Parisi aveva definito «isterico». Giudizio eccessivo. Anche perché determinante, per il primo cittadino, è stato l’incontro tra il suo difensore Salvatore Scuto e i magistrati della Procura generale. Dal colloquio che l’avvocato ha subito definito «proficuo» sono venute rassicurazioni. Non certo su un atteggiamento di particolare riguardo, da parte del procuratore generale Roberto Alfonso e del sostituto Felice Isnardi. Semplicemente si è fugato ogni timore che questi tempi supplementari dell’indagine Expo potessero assumere un tratto spettacolare.
Nessuna ricerca di colpi a effetto, solo correttezza e rigoroso rispetto delle norme. Il che vuol dire di fatto che i magistrati mai si sogneranno di chiedere misure cautelari, dal momento che non ne ricorrono i presupposti. Certo si indagherà, ma solo sulle due ipotesi di reato già note e al di fuori di qualsiasi forzatura persecutoria che forse in prima battuta il sindaco aveva intravisto. Insolito in effetti è un incontro preliminare come quello avvenuto lunedì tra il legale e gli inquirenti. Non accade così spesso che la magistratura si mostri così tattile e premurosa con un indagato. Al di là della della specifica richiesta di verifica della posizione presentata da Scuto, l’atteggiamento dei pm può essere considerato un gesto di responsabilità.
Milano è una città importante, troppo: non semplicemente la capitale morale, ma una metropoli che corre anche a dispetto dei ritardi registrati nel resto del Paese. In una progressione che proprio nell’Expo ha trovato una spinta decisiva, anche per merito dell’attuale sindaco, all’epoca amministratore delegato della società che ha organizzato l’esposizione.
I magistrati non vivono su Marte, queste cose le comprendono anche meglio di altri e si sono regolati di conseguenza. Hanno compreso che un’interruzione traumatica della sindacatura Sala avrebbe potuto compromettere quel circolo virtuoso, e hanno bilanciato l’obbligatorietà dell’azione penale con il massimo della prudenza nella gestione del fascicolo. Fino ad arrivare appunto al colloquio cordiale, distensivo e soprattutto chiarificatore con l’avvocato Scuto. C’è solo capacità di stare al mondo, nella disponibilità del dottor Alfonso? Intanto va segnalato che già nelle stesse ore in cui venerdì il sindaco comunicava al prefetto Alessandro Marangoni la propria autosospensione, lo stesso procuratore generale lasciava trapelare dal proprio ufficio la «piena disponibilità» a incontrare il primo cittadino. Addirittura l’auspicio di ascoltarne eventuali dichiarazioni spontanee. Quasi a voler rimediare subito all’effetto scaturito dall’iscrizione a registro degli indagati: la clamorosa autosospensione di Sala, appunto. Tanta attenzione si spiega forse anche con il contesto che è all’origine del nuovo approfondimento sulla gara principale di Expo. Che è legittimamente un contesto di diversa cultura della giurisdizione. La Procura della Repubblica guidata prima da Edmondo Bruti Liberati e poi da Francesco Greco aveva ritenuto che il reato specificamente attribuibile a Sala fosse penalmente di rilievo così impalpabile da non meritare il processo. I due pm citati appartengono alla stessa corrente, Magistratura democratica. Nel suo atteggiamento fin dall’inizio prudentissimo rispetto alla gestione preparatoria dell’Expo, l’ex capo della Procura aveva isolato deliberatamente il suo vice Alfredo Robledo. Il quale contestava al superiore proprio un eccesso di benevolenza rispetto ad alcuni fascicoli – non solo quelli relativci all’Expo. Da lì lo scontro ben noto, approdato con fragore al Csm poco meno di tre anni fa. Robledo è vicino a una corrente avversaria di Md, Magistratura indipendente. Come rivelato da Giovanni Jacobazzi sul Dubbio di sabato scorso, anche il procuratore generale Roberto Alfonso è di Mi, gruppo che rappresenta la cosiddetta “destra giudiziaria”. È ritenuto in particolare sintonia con una delle figure più rappresentative di questa corrente, l’attuale componente del Csm Claudio Galoppi. Non vuol dire certo che Alfonso abbia deciso di avocare il fascicolo della “piastra Expo”, per il quale la Procura della Repubblica aveva deciso per la richiesta di archiviazione, in virtù di una sorta di contrappunto infantile ai colleghi del gruppo di sinistra. Ci mancherebbe. Casomai nella vicenda dell’indagine archiviata e poi resuscitata, in cui per la prima volta è finito Beppe Sala, c’è una chiarissima rappresentazione di cosa succede quando due diverse culture della giurisdizione entrano in conflitto.
Quella di Md è tenacemente garantista ( anche se in proposito Silvio Berlusconi potrebbe muovere alcune contestazioni), quella di Magistratura indipendente è da una parte meno ideologica e più sindacale, dall’altra meno ispirata al garantismo. È qui che si consuma il cosiddetto scontro tra Procure, non certo in una guerra di dispetti personali. Ma sarà bene tenerlo presente, questo quadro così sfumato e meno appassionante del “romanzo tribunale” che le ombre di Bruti e Robledo ormai producono di default. Sarà bene ricordarsi che nelle scelte della magistratura è inevitabile anche ispirarsi a precise culture di riferimento. Non banalizzabili politicamente, non riducibili all’appartenenza ad aree politiche. Non c’è da cedere a semplicistiche analogie. C’è casomai da rassegnarsi all’idea che in un caso come quello di Sala tutte e due le scelte potevano avere i loro buoni motivi: quella di tenerlo fuori, operata dalla Procura della Repubblica, e quella della rigorosissima applicazione del dato formale, seguita dalla Procura generale. Pochi dietrologismi ma una spiegazione: le toghe hanno culture diverse al loro interno. E come in molti altri casi della vita pubblica, anche negli uffici giudiziari non si puoi mai dare nulla per scontato.