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Bernardini
Ci ha messo passione, coraggio, forza fisica e intellettuale per chiedere l’approvazione della riforma dell’ordinamento penitenziario. Non solo ha seguito l’iter, ma ha anche contribuito alla sua formulazione attraverso gli Stati Generali dell’esecuzione penale. Dal 2015 ad oggi, è stata una continua azione nonviolenta attraverso marce, carovane che hanno attraversato tutta la penisola per visitare i penitenziari, ma soprattutto, a più riprese, ha condotto lo sciopero della fame. Durante questa sua lotta nonviolenta che cercava un dialogo con le istituzioni, ha ricevuto delle promesse che puntualmente sono state deluse dai fatti. Parliamo di Rita Bernardini della presidenza del Partito Radicale, giunta oggi al 32esimo giorno dello sciopero della fame.
Che emozioni ha provato, appena si è resa conto della mancata approvazione del decreto attuativo?
Intanto, leggendo l’ordine del giorno, mi sono accorta subito che qualcosa non quadrava. Subito ho notato che si trattava di nuovi decreti e non di quello già esaminato dalle Commissioni giustizia. Poi ho ascoltato la frase di Gentiloni che ha dato certezza alle mie perplessità. In maniera generica, in conferenza stampa ha detto che nei prossimi mesi si occuperanno di completare la riforma. In quel momento ho provato sconcerto, amarezza e una fortissima delusione.
Ma ci sono le elezioni politiche...
Infatti da parte di Gentiloni è stato un gesto di arroganza: ritiene di conoscere già il risultato elettorale e che sarà comunque lui a governare? Come si permette di dire che ci penseranno loro dopo le elezioni? Indirettamente mi aveva fatto sapere che mi sarei dovuta tranquillizzare, perché avrebbe approvato la riforma prima del 4 marzo. Lo ribadì pure in tv rispondendo a Paolo Mieli e indicò proprio la data di oggi.
Anche il guardasigilli l’ha tranquillizzato più volte.
Sì, e ora da parte sua c’è il silenzio più assoluto.
Da via Arenula trapela che il governo sarebbe intenzionato ad approvare la riforma e per quanto riguarda il decreto attuativo già licenziato dalle commissioni, ad esaminarlo la prossima settimana o dopo il 4 marzo per riformularlo e restringere un po’ le maglie del 4 bis. Lo farebbero per non disattendere completamente le osservazioni del Senato.
Se è vero, ribadiscono la loro arroganza. Già sanno che dopo il 4 marzo avranno l’opportunità politica di andare avanti. Anche se il governo attuale rimane in carica fino al 23 marzo, non è detto che abbia la forza necessaria per riunirsi e varare la riforma se c’è nel frattempo una maggioranza diversa. A prescindere da questo, non è una bella notizia l’eventuale riformulazione del decreto attuativo.
Quindi non c’è nessuna speranza? Ma, soprattutto, in quale modo crede di portare avanti la lotta nonviolenta per ottenere l’attuazione della riforma nella sua interezza e versione originale?
Finora, come detto, sia Gentiloni che Orlando sono stati inattendibili. Non si rendono conto di cosa vuole dire accettare uno Stato che si disinteressa dei diritti umani. Loro sanno benissimo che nelle nostre carceri vengono sistematicamente violati i diritti, come sanno che la riforma è la sintesi di quanto già acquisito per normazione nazionale. Sanno anche che i regolamenti penitenziari europei dicono di incrementare le pene alternative e contemplare il carcere come estrema ra- tio. Sapendo tutto questo, decidono comunque di non fare nulla.
Secondo lei, perché hanno deciso di non varare la riforma?
Il motivo è chiaramente elettorale. Vogliono evitare strumentalizzazioni politiche. Però a quanto pare hanno fatto male i conti. Salvini e Meloni hanno comunque protestato e parlato di “svuotacarceri”. Quindi il governo ne è rimasto ugualmente vittima.
Ci sono oltre 10.000 detenuti che attraverso l’azione non violenta erano in attesa della riforma. Ora che è rimasta disattesa, in preda dalla disperazione, potrebbero commettere qualche sciocchezza?
Penso che il governo lo debba mettere in conto. Finora i detenuti hanno utilizzato dei metodi nonviolenti, grazie soprattutto al lavoro che ha fatto negli anni Marco Pannella. Però non vorrei che la disperazione abbia il sopravvento. D’altra parte il governo ha letteralmente calpestato il dialogo messo in moto con il Satyagraha di 10.000 detenuti, di centinaia di cittadini “liberi”, dei Garanti nazionali, del mio sciopero della fame e con la clamorosa presa di posizione a favore della riforma di oltre 300 giuristi, avvocati, magistrati e professori.
In effetti attraverso questa enorme mobilitazione, con il ministro Orlando non solo dialogavate, ma avete offerto degli strumenti per poter andare avanti con coraggio.
A sostenere la riforma non c’erano solo giuristi o intellettuali, ma anche dei magistrati come Armando Spataro. Al ministro Orlando abbiamo offerto un sostegno enorme. Ma ha fallito. E dico di più. Se nonostante questo enorme sostegno da parte della società civile, compresa la magistratura, il governo non c’è stata una tenuta forte, allora vuol dire che non c’è più tenuta per lo Stato di Diritto.
Ora cosa succederà? Quali saranno le prossime azioni?
Non rimane che presentare ricorsi agli organi internazionali come la Corte Europea dei diritti dell’uomo. Non ci resta che denunciare lo Stato italiano.
Ma a questo punto lei smette lo sciopero della fame?
Per il momento no, ci sto riflettendo con i miei compagni. C’è una cosa che però vorrei sottolineare. Non stiamo parlando solo di detenzione. Noi stiamo parlando in realtà anche di questa campagna elettorale dove da più parti si evoca repressione, inasprimento delle pene, costruzioni di nuove carceri, scardinamento del giusto processo già messo in crisi dalla riforma – questa sì, che è passata – della procedura penale. Proprio per questo motivo ancora sto riflettendo se smettere o meno. Di fronte a tutto questo, in questo preciso periodo storico, io penso che ci debba essere qualcuno che mantenga alta la bandiera dello stato di Diritto.